Prendetevi cura degli utenti, rilasciate aggiornamenti ed altre cose

L’impressione generale che più o meno tutti abbiamo avuto, guardando lo Xoom, il PlayBook o altri tablet che dovrebbero fare da concorrenti all’iPad, è che siano un primo tentativo delle aziende che li producono di realizzare un tablet ma che a questi manchino molte funzioni e che molte di quelle presenti non vadano poi tanto bene. Ciò probabilmente è dovuto alla fretta di rilasciare sul mercato un’alternativa all’iPad, ed infatti le medesime aziende hanno più volte ricordato che miglioreranno i propri tablet col passare del tempo attraverso updates che correggeranno eventuali errori e abiliteranno cose nuove.

La scorsa settimana Apple ha rilasciato un aggiornamento di iOS, aggiornamento che ha risolto e chiuso definitivamente il Location Gate correggendo il bug che aveva sollevato tanto clamore presso la stampa. Apple, come si può notare, è stata molto efficiente: gli ci sono volute solo due settimane per correggere il bug e rilasciare un aggiornamento che fosse usufruibile da tutti gli utenti dei suoi dispositivi. Il sistema si è dimostrato efficiente soprattutto perché è centralizzato: Apple sa di quali device deve prendersi cura e rilascia degli update mirati a migliorarli. L’utente, inoltre, sa che collegando il proprio iPhone al computer potrà gestire ogni aspetto del device, ed eventualmente aggiornarlo.

If you’re serious about software, you should make your own hardware. (Steve Jobs)

Google, al contrario, non è riuscita a fare altrettanto: è probabile che passeranno dei mesi prima che un aggiornamento per Android veda la luce ed è ancor più probabile che quando questo verrà rilasciato gli utenti non avranno un modo standardizzato e chiaro per accorgersene. Il problema può essere sia di Google che non è stata in grado di fornire un “centro” da cui gestire il proprio telefono ma è anche congeniale ad Android stesso, che frammentandosi su più dispositivi ne rende molto difficile la realizzazione.

Ma tornando ai tablet, Jonas Wisser scriveva l’altro giorno, riguardo ad Android che “non c’è coerenza nell’esperienza e non c’è nemmeno coerenza nel ciclo degli aggiornamenti.” Se questo può in parte venire tollerato nel mercato degli smartphone – perché prima del lancio dell’iPhone nessuno era abituato a ricevere aggiornamenti al proprio telefono – lo è di meno in quello dei tablet, dove la gente se li aspetta. Justin Williams, un programmatore di iOS, ha un suggerimento per le aziende che vogliono sconfiggere l’iPad:

Per riuscire a scalfire la posizione dominante di Apple Google, Microsoft, Blackberry e HP devono concentrarsi meno sulle specifiche tecniche o sull’apertura della loro piattaforma e di più sul riuscire a fornire ai propri utenti degli update regolari dell’OS che stanno utilizzano. Le specifiche tecniche sono come il porno per i blog tecnici, ma il software e una grande disponibilità di applicazioni è ciò che fa vendere i tablet.

I punti chiave, in quest’ottica, secondo me sono tre.

Il primo è quello della centralizzazione, del riuscire a realizzare un centro di controllo dal quale gestire ed organizzare l’OS, e tutto questo discorso può essere riassunto e riportato al solito discorso, che oramai vi sarà venuto a noia, ovvero alla costruzione di un ecosistema che ruoti attorno al prodotto.

Il secondo è relativo alla cultura delle aziende che si sono immesse nel mercato, è relativo a Microsoft, BlackBerry e HP e al modo in cui fino a ieri hanno operato. Queste pare che abbiano a cuore solamente i “possibili acquirenti” dei loro prodotti: una volta che i prodotti li hanno venduti abbandonano quelli che sono così diventati “i loro utenti” a se stessi, fornendogli un’assistenza scarsa e pochissimi servizi. Apple al contrario continua a fornire costanti update e a investire sui suoi utenti. Queste aziende, dunque, devono imparare a “viziare” i loro utenti, a fornirgli assistenza e dei servizi validi anche se i soldi li hanno già presi.

Il terzo riguarda gli “evangelist” di Android, che sembrano non aver capito come funzionano i nuovi device, sia l’iPhone che l’iPad. Non hanno ancora capito che alla gente, quella comune, quella che alla fine le cose le compra e spende i soldi, non gliene frega nulla della (supposta) apertura del loro OS. Quel che gli interessa è che l’OS funzioni, e bene. Che poi questo abbia un’entrata USB o altri gingilli tecnici, che abbia tutte quelle cose che tanto li fanno eccitare o che sia aperto beh, che si rassegnino: sono cose che non interessano e che sicuramente non guidano le vendite.

Farhad Manjoo su Slate si domanda cosa sia successo a RIM, l’azienda dietro al BlackBerry e, un po’ meno orgogliosamente, anche al PlayBook. RIM ha fatto soldi vendendo i suoi prodotti alle aziende scegliendo di dedicarsi al mondo del lavoro piuttosto che agli utenti comuni.

Tale strategia è stata però eclissata da quella di Apple, che è “infiltrarsi nelle scuole e nelle case per poi sperare che gli utenti spingano affinché i loro dirigenti scelgano di usare gli iPad anche per il lavoro”.

RIM vuole diventare una società per consumatori perché è lì dove si trovano i soldi, ma non può rischiare di alienarsi le aziende che sono i suoi clienti più fedeli. Questo spiega i difetti del PlayBook e, più in generale, il fallimento di RIM di creare prodotti che la maggior parte delle persone voglia usare.