Un keynote di 20 anni fa (titolo: Webmania), durante il quale Steve Jobs introduce NeXT WebObjects, spiega cos’è il web e si entusiasma per le pagine dinamiche.
(via The Loop)
Un keynote di 20 anni fa (titolo: Webmania), durante il quale Steve Jobs introduce NeXT WebObjects, spiega cos’è il web e si entusiasma per le pagine dinamiche.
(via The Loop)
Steve Jobs, il film, è vagamente basato su Steve Jobs, l’uomo. E questo su ammissione stessa di Sorkin, il regista, come ha ricordato in più e più interviste. A Steven Levy, per esempio, ha risposto così:
This isn’t The Steve Jobs Story. And it was never intended to give you all the facts about Steve’s life. And your first clue to that — because I want to make sure that the audience wasn’t mistaking it for anything else — is that we made no attempt to have the actor in any way do a physical impersonation of Steve Jobs. He doesn’t look like Steve Jobs, we didn’t ask him to speak like Steve Jobs. There is a joke about “insanely great” but I didn’t write in any of the Jobs-isms. It’s just not that movie.
Ok, non un documentario, non è una biopic. Riprende solo un frangente della vita di un uomo, seppur quel frangente sia adattato — con eventi e situazioni mai verificatesi — alle necessità della storia che Sorkin si è inventato, contenga diverse finzioni e inesattezze, e finisca col ridurre la personalità di Steve Jobs a pochi schemi collaudati: il bastardo intrattabile abbandonato dalla famiglia, il padre che non ha riconosciuto la figlia, presentato come il direttore d’orchestra che non sa fare bene nulla se non comandare gli altri e distorcere la realtà. È un po’ una soap opera, anche per la scelta degli eventi su cui il regista si è focalizzato: il rapporto padre e figlia, tagliando fuori tutto il resto.
Sorkin semplifica Steve Jobs, riconducendolo a quel poco su di lui che il pubblico già sa — riportando la sua figura dentro le letture trite e ritrite che i media hanno dato di Steve Jobs, di fatto non aggiungendo nulla di proprio nella comprensione di questa figura: chi è stato e cos’ha fatto. Non aggiunge nulla né sul lato umano — anzi, lo riduce a uno stronzo arrogante, pieno di sé, incapace di migliorarsi — né su quello innovativo e tecnologico — alla fine, uno si domanda come quest’uomo abbia potuto portarci il Macintosh, l’iPod, l’iPhone, etc. Cos’ha fatto Steve Jobs, e perché in molti lo rimpiangono? Andate a vedere il film e ne uscirete più confusi di prima, senza una risposta, probabilmente con una piccola convinzione: che il successo, Steve Jobs, non se lo sia meritato.
Steve Jobs esce sminuito dal film. Non si capisce cosa faccia, a che serva, perché sia stato importante o cosa abbia portato a Apple se non un’ossessiva ossessione per i dettagli e una personalità urtante. NeXT è, secondo Sorkin, il piano diabolico e personale per tornare dentro Apple — non un’azienda che ha avuto un’esistenza propria per 12 anni. Pixar non esiste. E l’iPhone non viene nemmeno menzionato perché il film si ferma al 1998. La maggior parte dei dialoghi che occupano grande rilievo nel film — con Hertzfeld, Wozniak e Sculley — sono inventati. Ah, e tutti, più o meno, non lo sopportano.
Aaron Sorkin ha deciso di fare un film leggermente basato su Steve Jobs, dipingendolo in luce negativa. Sceglie eventi a proprio piacimento e ne scarta altri a suo dire irrilevanti. Come scrive Walt Mossberg:
Sorkin chose to cherry-pick and exaggerate some of the worst aspects of Jobs’ character, and to focus on a period of his career when he was young and immature. His film chooses to place enormous emphasis on perhaps the most shameful episode in Jobs’ personal life, the period when he denied paternity to an out-of-wedlock daughter.
Dirò una cosa: il film, per quelle due ore in cui mi sono trovato chiuso al buio nella sala cinematografica, mi è piaciuto. È suddiviso in tre scene principali, che si svolgono poco prima di un keynote: quello del lancio del Macintosh, quello del lancio di NeXT e il keynote del 1998 in cui Steve introduce il primo iMac, trasparente. Al solito con Sorkin, tutto ruota attorno ai dialoghi serranti e scontri incalzanti. Dialoghi e situazioni, però, perlopiù inventate.
Nel buio della sala, il film mi ha preso. Poi, una volta finito, mentre le luci tornavano in sala e mi avviavo all’uscita, ho colto i mormorii degli altri spettatori. Il sentimento generale, avrebbe potuto riassumersi in: “hai visto che gran bastardo?” E “e quindi perché lo celebriamo?“.
E questo mi ha dato un gran fastidio. Perchè Sorkin può anche ripetere centomila volte che non si tratta di una biopic, a The Verge e Medium, ma lo spettatore medio non andrà a leggersi The Verge o Medium: uscirà piuttosto dalla sala cinematografica convinto di essersi visto una sintesi di quella che è stata la vita di Steve Jobs, e di averne compreso persona e idee. Dato che il film s’intitola Steve Jobs e in nessun momento, nella pellicola, un disclaimer avvisa lo spettatore che i fatti narrati nel film non si sono mai svolti il dubbio non viene mai instillato nello spettatore. È inutile che poi Sorkin si difenda nelle interviste: magari un avviso sulle fabbricazioni, nella pellicola, all’inizio o alla fine lo si sarebbe potuto mettere, no?
Il mio problema con lo Steve Jobs di Sorkin è — come scrive FastCompany — che il film aiuta a solidificare una lettura e comprensione dell’uomo Steve Jobs molto semplicistica. Lo Steve Jobs dipinto da Sorkin non avrebbe mai potuto salvare Apple: è una caricatura, costruita e tenuta in piedi grazie a molte omissioni. È la narrazione da bar di Steve Jobs, la mitologia, quella che verte attorno agli episodi di scontro e discordia ma tralascia tutti i pezzetti importanti che gli hanno permesso di diventare Steve Jobs, di costruire Apple e di costruire se stesso.
Come scrivono su FastCompany:
The film’s title character is a one-trick pony, a grandstanding egotist who gets great work out of people by charming them or berating them. Humans stand in the way of his unchanging genius, at least until that unconvincing reunion with Lisa at the end. It’s an old and unsophisticated view that’s been trotted out since the early days of Apple. The fact that Sorkin’s dialogue crackles with energy under Danny Boyle’s direction doesn’t make it any more authentic.
The Steve Jobs portrayed in Steve Jobs could never have saved Apple. In the perpetually changing technology industry, simple stubbornness is the kiss of death. Sorkin has created a caricature, an entertaining and modern take on the archetypal tortured business genius. It’s kind of fun, especially for people who don’t know much about how business gets done. But characters like the “Steve Jobs” of this movie don’t last long in business—they burn out, or they get thrown out.
Nelle intenzioni di Sorkin potrebbe non esserci mai stata quella di tentare di capire cosa abbia permesso a Steve Jobs di diventare Steve Jobs, di passare dallo Steve Jobs ventenne arrogante e pieno di sé a qualcosa di più. Sorkin si ferma lì: allo Steve Jobs iniziale. Non c’è evoluzione.
È triste sapere che un mucchio di gente lascerà una sala cinematografica convinta di conoscere quella che, di fatto, è una finzione. Lo Steve Jobs di Sorkin aiuta a cementificare una narrazione attorno alla figura di Steve Jobs che in questi anni non ha fatto che semplificarlo e ridurlo. Il film sarà anche tecnicamente ottimo, e la storia narrata ben congegnata, ma non si possono ignorare i danni che fa attorno alla narrazione e comprensione della figura di Steve Jobs.
“It deviates from reality everywhere — almost nothing in it is like it really happened,” said original Mac team member Andy Hertzfeld, who advised on the film. “But ultimately that doesn’t matter that much. The purpose of the film is to entertain, inspire and move the audience, not to portray reality.”
Se volete approfondire, The Verge ha intervistato Sorkin e Boyle.
Pare non abbiamo ancora raggiunto la saturazione, e allora eccoci qua a parlare di un altro film su Steve Jobs. Questa volta è un documentario, s’intitola Steve Jobs: The Man in the Machine, e ovviamente — al solito — tutta l’attenzione (a giudicare dal trailer) è sulla personalità bastarda di Steve Jobs. Hurray!
The Gibney-est trick in this book is the director’s final sleight-of-hand, in which he turns the reflective iPhone screen upon us to ask why we are so crazy-committed to this brand and its little products in our pockets or the palms of our hands. Gibney himself carries an iPhone, of course, and can’t solve this question. It’s a mystery as beguiling as the Jobs myth, and the film is no love letter. It’s a quite stunning, at turns surprising, eulogy — and a big fat question mark. You’re left feeling troubled by this man in the machine.
Uscirà in autunno
È uscito il trailer del film su Steve Jobs scritto da Aaron Sorkin e diretto da Danny Boyle, quello in cui Fassbender interpreta Steve Jobs (seppur non c’entri un fico secco). Un po’ come The Social Network (sempre di Sorkin), dal trailer pare la storia verta attorno a grandi e intensi conflitti, altrimenti che noia seguirla nevvero? Il mio timore è che, per l’ennesima pallosissima volta, la personalità di Jobs (ovvero: solo i tratti romanzabili della personalità di Jobs) occupi tutta la narrazione senza lasciare il minimo spazio a una spiegazione (che né c’era nel precedente film su Steve Jobs, né c’era nella biografia) del cosa quest’uomo abbia fatto — a parte incazzarsi.
A questo punto credo il film su Steve Jobs che vorrei non arriverà mai. Un giorno, forse, la BBC o qualcun altro farà un documentario, e finalmente avremo una narrazione meno lirica (e per me più interessante) sulla figura di Steve Jobs.
Nel frattempo temo dovremo accontentarci di un altro melodramma.
Un bellissimo video, per i nostalgici, che racconta i primi anni di Apple, con immagini accompagnate dalla voce di Steve Wozniak e Steve Jobs.
(Via The Loop)
Universal Pictures ha diffuso un breve trailer del nuovo film su Steve Jobs, diretto da Aaron Sorkin (con Jobs interpretato da Michael Fassbender, Steve Wozniak da Seth Rogen).
(Non so bene cosa aspettarmi. Il fatto è che spererei in una narrazione meno “eclatante” — guardate il trailer, per capirmi.)
La traduzione in italiano della nuova biografia su Steve Jobs, titolo originale Becoming Steve Jobs, è da oggi in vendita. S’intitola Steve Jobs Confidential.
Io l’ho già acquistata (in inglese). Se non ne siete ancora convinti, oltre a guardare l’incontro/intervista all’Apple Store di SoHo con John Gruber e gli autori del libro, consiglio di leggere la recensione di TidBITS, The Book of Jobs.
Becoming Steve Jobs complementa la biografia ufficiale, di Isaacson. Quella era un resoconto dettagliato della vita di Jobs, con accesso diretto a Jobs, senza un particolare obiettivo se non ritrarre in maniera quanto più oggettiva la figura di Steve Jobs — e che per questo falliva nel costruire una narrativa; Becoming Steve Jobs, invece, si pone come obiettivo quello di spiegare Steve Jobs, come già il sottotitolo (The Evolution of a Reckless Upstart into a Visionary Leader) dovrebbe lasciare intendere.
Scrive TidBITS:
Theirs [gli autori] is a somewhat novelistic account and it comes with an explicit agenda: to explain how Steve Jobs “turned around his life and became the greatest visionary leader of our time.” If it were an actual novel, it would be a Bildungsroman, a novel about the coming of age and the education and character development of its protagonist.
Amazon: Steve Jobs Confidential
People have been hearing all sorts of things about computers during the past ten years through the media. Supposedly computers have been controlling various aspects of their lives. Yet, in spite of that, most adults have no idea what a computer really is, or what it can or can’t do. Now, for the first time, people can actually buy a computer for the price of a good stereo, interact with it, and find out all about it. It’s analogous to taking apart 1955 Chevys. Or consider the camera. There are thousands of people across the country taking photography courses. They’ll never be professional photographers. They just want to understand what the photographic process is all about. Same with computers. We started a little personal-computer manufacturing company in a garage in Los Altos in 1976. Now we’re the largest personal-computer company in the world. We make what we think of as the Rolls-Royce of personal computers. It’s a domesticated computer. People expect blinking lights, but what they find is that it looks like a portable typewriter, which, connected to a suitable readout screen, is able to display in color. There’s a feedback it gives to people who use it, and the enthusiasm of the users is tremendous. We’re always asked what it can do, and it can do a lot of things, but in my opinion the real thing it is doing right now is to teach people how to program the computer. — Steve Jobs, 22enne, spiega computer e Apple su un numero del New Yorker del 1977 (da Becoming Steve Jobs, via M.G. Siegler)
La traduzione in italiano di Becoming Steve Jobs si intitolerà Steve Jobs Confidencial, uscirà il 7 Aprile ed è già preordinabile su Amazon. Becoming Steve Jobs è una nuova biografia su Steve Jobs che sembra promettere bene e che, forse, potrebbe riuscire a risollevarci dalla delusione di quella originale.
FastCompany ne ha pubblicati diversi estratti, durante la settimana. Ne segnalo due: quello in cui si parla di uno Steve Jobs più empatico (rispetto a quanto la narrazione comune racconti), e “The Evolution of Steve Jobs“:
Steve was always changing. Thinking of him this way casts him in a very different light from the more common view of him as a stubborn force of nature. It reframes what those of us fascinated by and engaged in business can draw from his example. If you search for “Steve Jobs” books on Amazon, you’ll find that most carry such titles as Steve Jobs: Ten Lessons in Leadership or The 66 Secrets of Steve Jobs: The Most Complete Step-by-Step Guide Ever Written on Becoming the Next Steve Jobs. Book publishers clearly believe that readers are dying to mimic a magical “Steve Jobs Recipe for Success.” (One possible exception: Steve Jobs Returns With His Secrets, which is, according to its jacket copy, a “spiritual interview with Steve Jobs, conducted just three months after his death.”)
‘Becoming Steve Jobs’ è un nuovo libro sulla vita di Steve Jobs scritto da Brent Schlender (giornalista che ha avuto modo di intervistare Steve Jobs più volte per il Wall Street Journal e Fortune) e Rick Tetzeli.
John Gruber, che l’ha letto in anteprima, l’ha definito “remarkable”:
The book is smart, accurate, informative, insightful, and at times, utterly heartbreaking. Schlender and Tetzeli paint a vivid picture of Jobs the man, and also clearly understand the industry in which he worked. They also got an astonishing amount of cooperation from the people who knew Jobs best: colleagues past and present from Apple and Pixar — particularly Tim Cook — and his widow, Laurene Powell Jobs.
The book is an accurate, engaging retelling of the known history of Jobs’s life and career, but also contains a significant amount of new reporting. There are stories in this book that are going to be sensational.
Solo sulla base di questa recensione, vale la pena pre-ordinarne una copia per quando uscirà.
Doug Menuez ha prodotto un racconto fotografico su Steve Jobs ai tempi di NeXT, contenente alcune bellissime fotografie che io non avevo mai visto prima.
Nobuyuki Hayashi racconta un aneddoto su Steve Jobs, e la sua passione per il sushi — che amava consumare in un piccolo ristorante di Palo Alto:
You might have heard Steve Jobs was very impatient. But if it were for Toshio’s sushi, Steve could wait for 30 minutes. […] Steve loved the place so much and often visited there alone for lunch. Seat No.1 at the counter (shown above) was his favorite seat and even when he visited without reservation, he seemed upset when that seat was taken.
Don Melton, ex dipendente Apple conosciuto soprattutto per il suo lavoro su Safari, ha avuto diverse occasione di incontro con Steve Jobs: non lo conosceva bene, ma ha avuto l’opportunità di lavorare con lui per diversi anni, prima alla NeXT e poi ad Apple. Ha raccolto alcuni aneddoti sul suo blog:
So Steve started the rehearsal, going through slides on the “Switcher” ad campaign and then the Apple Stores. At the end of the retail update, he was supposed to conclude with something like “1.4 million visitors in the month of December alone,” but he added, “so to all of you in the press who doubted us…”
And then clicked to reveal his special slide — poster art I’m sure everyone has seen before — a 1940’s-style rendering of a grinning man holding a big mug of coffee next to his face with this text alongside like a world balloon:
“How about a nice cup of shut the fuck up.”
And then the best part — the part we didn’t know was coming — Steve paused, turned to his V.P. of Marketing and deadpanned, “What do you think, Phil? Too much?”
Il film dedicato a Steve Jobs con dentro Ashton Kutcher sembra — se non altro a giudicare dall’anteprima diffusa, terrificante — da evitare. Steve Wozniak poi, ha detto che è tutto campato per aria:
Totally wrong. […] Our relationship was so different than what was portrayed. I’m embarrassed but if the movie is fun and entertaining, all the better. Anyone who reads my book iWoz can get a clearer picture.
(È in corso la produzione di un’altra pellicola dedicata a Jobs, ma diretta da Aaron Sorkin — il che promette bene.)