Matt Gemmel ha scritto un articolo dei più intelligenti che abbia letto sul design degli oggetti digitali, con particolare attenzione ad iOS. È una critica allo skeumorfismo, più sensata di tante lette fino ad oggi. È sbagliato avere come riferimento assoluto, nel disegnare un’interfaccia, la versione analogica di quello che si sta proponendo; si tratti di un calendario, una rubrica, un libro. Parlando di libri di carta e ebook noi dovremmo tenere a mente che sono entrambi design per un contenuto, rappresentazioni della stessa cosa e, di conseguenza, strutturare i secondi scordandoci dei primi; che sono sì venuti — da un punto di vista temporale — prima, ma non per questo devono influenzare la struttura degli ebook.

We forget that physical objects are also just specific embodiments – or presentations – of their content and function. A paperback book and an ebook file are two embodiments of the text they each contain; the ebook isn’t descended from the paperback. They’re siblings, from different media spheres, one of which happens to have been invented more recently. The biggest intellectual stumbling-block we’re facing is the fallacy that just because physical embodiments came first, they’re also somehow canonical. The publishing industry is choking itself to death with that assumption, despite readily available examples of innovative, digitally-native approaches

Semplifico: ciò che conta è il contenuto, e realizzare una struttura che sia quanto più fedele ad esso. Non è detto che ciò che funziona ed è intuitivo nel mondo di atomi, continui ad esserlo se portato su iOS:

The reality is that skeuomorphism enshrines and validates a failure of vision, and even worse, a failure to capitalise on the medium.

Il dettagliato concept di Simply Zesty mostra un iOS 7 appiattito, liberato da ogni ombra e elemento 3D. È bello a vedersi, ma ovviamente non si va oltre questo. Il problema non è lo skeumorfismo in sé, ma l’uso inappropriato dello stesso: Apple non lo eliminerà totalmente, e fa bene. Inoltre i concept ignorano sempre il mondo reale e i problemi che potrebbero presentarsi nell’implementare ciò che propongono.

Apple ha bisogno di cambiare iOS, ma non lo cambierà mai così radicalmente ripensando i paradigmi consolidati in sei anni. Craig Hockenberry ha giustamente ricordato che Apple funziona bene per miglioramenti incrementali, anno per anno, minimi e (quasi) invisibili. Però un eccessivo atteggiamento in questa direzione comporta anche che le persone inizino a annoiarsi, a credere che iOS sia in una fase di stallo [1. Ho sentito di persona, diverse volte, nell’ultimo anno, possessori di iPhone affermare che iOS è diventato noioso, e che a fine contratto considereranno l’acquisto di un Android che al contrario nella UI ha fatto passi enormi].

Nessuno vuole davvero che Apple ricominci da zero (come il concept propone), ma che faccia qualcosa in più dello scorso anno, qualcosa che dia all’utente l’impressione che anche la UI sia in evoluzione.

Il prossimo iOS (7) potrebbe essere molto piatto, dicono i rumors. Colpa di Jony Ive, probabilmente. Per una volta, potrebbe essere Apple a seguire una tendenza iniziata da Microsoft: l’appiattirsi del design, in stile Metro.

Provando Metro, avevo apprezzato molto la tendenza al “design piatto”, ovvero a un design che sceglie di fare a meno di gradienti e ombre per optare per uno stile più essenziale. Mi ero però trovato a constatare che l’eleganza andava a discapito dell’usabilità: Metro era tanto bello, ma spesso non si capiva quali elementi erano attivi e quali no, quali manipolabili e quali meno.

iOS e forse l’OS mobile che meno tende a questo tipo di design, e anzi riceve svariate critiche per la scelta dello skeumorfismo. Non mancano comunque al suo interno applicazioni create con uno stile diverso (si pensi a Twitterrific), mentre lo stesso non può essere detto per Windows: le applicazioni sono costrette a rimanere fedeli a un design piatto.

Ne ha scritto lo sviluppatore di iStat, spiegando come mai questo succeda: le ragioni sono di natura pratica (sviluppare un design in stile metro è più veloce che creare una UI complessa).

And just like print, I believe that all non-iOS platforms have settled on mostly-flat interfaces due to technical constraints. Both Android and Windows 8 target many display sizes, ratios and pixel densities. Android also targets incredibly low end hardware, as well as high end hardware. These factors are vital when critiquing platform design choices.

In interface design, square finished corners are faster, because there’s no masking. Not including shadows is faster, because there’s less compositing. Drawing a flat colour is faster than drawing a gradient. When you have three or six pixel densities, drawing sharp textures is almost impossible, unless you include bitmap assets for every size you’re targeting.

(Matthew Moore parla di “design quasi piatto”, indicando la via di mezzo intrapresa Google)

In difesa dello skeumorfismo

Chris Downer di Realmac Software ha spiegato in un post perché il design skeumorfico non è di per sé negativo; una voce isolata dal coro di blogger e utenti che hanno, soprattutto negli ultimi tempi, preso di mira questo approccio al design — spinti in parte anche dall’abuso che ne fa Apple.

Skeumorfismo, applicato al software, indica la tendenza a riproporre in digitale gli elementi, il design e il comportamento che un oggetto ha nel mondo reale. Il termine può indicare applicazioni come iBooks per iPad e (inappropriatamente, secondo Downer) come Rubrica per Mac. La prima funziona bene, la seconda sacrifica le informazioni a favore della UI ed è un cattivo esempio di dove si può andare a finire, esagerando con questo approccio al design. Ma lo skeumorfismo, spiega Chris, si ritrova anche in oggetti non digitali — da sempre:

This isn’t just limited to user interface design; In the physical world, we find them all around us too. Lightbulbs shaped like the flame from a candle, marble or wood grain patterns printed on linoleum, those useless tiny handles you find on some bottles of maple syrup. Things that are ornamental.

Downer lo difende, prendendo iBooks come esempio di una buona UI. Se il software risultante funziona in maniera simile all’oggetto che tenta di rimpiazzare, e al quale si ispira, tentare di imitarne le sembianze non è di per sé un errore. Non lo è nemmeno se l’associazione fra il software e gli elementi che questo riprende dal mondo reale è frutto di una finzione:Find My Friends è un’applicazione totalmente digitale, senza equivalenti nel mondo reale, ma che presenta comunque degli elementi ornamentali provenienti da quest’ultimo. Secondo Chris, non è un errore.

Ciò che bisognerebbe criticare è invece la tendenza ad applicare lo skeumorfismo anche in quei casi in cui il software si comporta chiaramente in maniera differente rispetto a ciò che prova a rimpiazzare. In quei casi una UI skeumorfica è d’impiccio per l’utente. Prendendo Rubrica per Mac come esempio, Chris ne definisce il design non tanto skeumorfico, quanto simile a un simulacro: un tributo all’oggetto fisico del quale però ripropone solo l’estetica, non il funzionamento.

Credo si tratti anche di essere in grado di sapere bilanciare, cosa che persino ad Apple a volte è riuscita difficile. La tendenza skeumorfica di iBooks non dà fastidio, al contrario quella del Game Center, che ripropone virtualmente una serie di elementi appartenenti ai casinò (si pensi ai gettoni), è senza senso.