Gli algoritmi per il riconoscimento facciale richiedono una potenza di calcolo che gli smartphone odierni, per quanto potenti, non hanno. Molti — Google, fra questi — caricano le foto online per poi analizzarle in remoto, con degli algoritmi di deep learning che girano su cloud.

Sul Machine Learning Journal, il team di “Computer Vision” di Apple racconta gli ostacoli che ha dovuto affrontare per riuscire a effettuare l’analisi delle facce sul dispositivo. iCloud cripta le foto in locale prima di caricarle sui suoi server; non è quindi possibile analizzarle altrove se non in locale:

We faced several challenges. The deep-learning models need to be shipped as part of the operating system, taking up valuable NAND storage space. They also need to be loaded into RAM and require significant computational time on the GPU and/or CPU. Unlike cloud-based services, whose resources can be dedicated solely to a vision problem, on-device computation must take place while sharing these system resources with other running applications. Finally, the computation must be efficient enough to process a large Photos library in a reasonably short amount of time, but without significant power usage or thermal increase.

Settimana scorsa mi sono comparsi un paio di inviti ad eventi nel calendario di iCloud dal titolo sospetto, “Ray-Ban” o “Louis Vuitton” più qualcosa. Trattasi di spam — a quanto pare inviti simili sono arrivati a molti. Ritrovarsi un evento inaspettato, pianificato per le 4 del pomeriggio, relativo ad uno sconto improvviso per degli occhiali, dentro il mio calendario personale è stato abbastanza fastidioso. È interessante, oltretutto, come questa (diciamo) vulnerabilità sia rimasta inutilizzata per anni fino a pochi giorni fa.

Per eliminare questi eventi/spam è sufficiente declinarli, ma declinandoli si comunica anche al mittente che il nostro indirizzo email esiste (perché iCloud gli invia una notifica, facendogli così sapere che non ci ha disturbati invano). MacSparky suggerisce, altrimenti, di passare agli inviti tramite email (e far fare alla casella di posta il lavoro di selezione):

If the problem continues, the best solution is to go into the Calendar screen of your iCloud.com account and throw the lever to move calendar invitations from the calendar app to email. Then you can delete emails before these things ever hit your calendar. The below gallery walks you through the steps to do so.

The crappy part about this is that the next time my daughter sends me an invite to drive her somewhere, I won’t see it until I get to email. Like I said, Apple needs to give us a better way to deal with this.

Stephen Hackett racconta su iMore la storia travagliata di iTools, l’antenato di iCloud. Fra iTools (2000) e il lancio di iCloud (2011) ci sono stati altri due rebranding: prima .mac (2002), poi MobileMe (2008).

Il tutto mi ha fatto ricordare che io mi iscrissi a .mac, anni fa, comprando una scatola in un negozio, questa:

Al tempo non è che .mac fosse di un’utilità ovvia: una costosa iscrizione ($99 l’anno) dava accesso ad iDisk (un abbondante e generoso 20 MB di spazio), una email @mac.com (che è ciò che, credo, più mi spinse ad iscrivermi) e HomePage, forse la parte più interessante del pacchetto: un servizio per creare la propria pagina web e metterla online.

HomePage era semplicissimo da usare — limitato, ma sufficientemente potente da permettere a chiunque avesse un Mac di crearsi una pagina web e metterla online. HomePage e iWeb (il successore, ora defunto) erano due ottimi strumenti che permettevano a chiunque di avere una presenza in rete, di mettere online delle foto e dei contenuti senza passare per una piattaforma o dover installare un CMS — uno strumento di quando il web era fatto di siti personali, piccoli e a sé stanti, invece che di profili.

Nonostante la promessa di “funzionare senza alcun attrito”, iCloud non solo non è particolarmente affidabile per gli utenti a due anni di distanza dal lancio, ma è persino difficile da implementare per gli sviluppatori — molti dei quali di conseguenza finiscono con l’appoggiarsi a Dropbox. The Verge ha riassunto la situazione in un articolo:

“The promise of iCloud’s Core Data support is that it will solve all of the thorny issues of syncing a database by breaking up each change into a transaction log. Except it just doesn’t work,” said a very prominent developer who asked not to be named in order to stay in Apple’s good graces. iCloud apparently chokes hard on the databases it’s supposed to be so proficient at handling. From a user perspective, this means that despite a developer’s best efforts, data disappears, or devices and data stop syncing with each other.