Ieri Amazon mi ha finalmente inviato la biografia di Steve Jobs. Ho iniziato subito a leggerla (anche lui, l’ha fatto). Nel frattempo, i giorni precedenti, mentre la attendevo, evitando a fatica spoiler, ho letto articoli terribili sul carattere terribile di Steve. Uno di questi è quello di Farhad Manjoo su Slate. Manjoo potrebbe essere uno dei lettori di questo blog, nel senso che adora Steve e la Apple. Eppure, il suo articolo si chiama ‘Jobs the Jerk‘:
Viene fuori, però, che Jobs era molto peggio di quanto avessimo mai sospettato. Ci sono una serie di ammirevoli storie su Steve Jobs dentro ‘Steve Jobs‘, la biografia autorizzata scritta da Walter Isaacson, ma sono oscurate dalle tante, tantissime situazioni in cui Jobs ne esce fuori come un coglione di prima classe. Jobs era scortese, cattivo, offensivo e spesso poco aperto a chiunque nella sua vita; le persone che odiava venivano trattate male, ma le persone che amava a volte anche peggio. Parte di questo non sorprende. L’arroganza di Jobs, la sua monumentale autostima, la sua irresponsabilità e la sua incessante crudeltà verso coloro che non risultavano all’altezza delle sue aspettative hanno sempre perseguitato la sua figura.
Durante la sua vita, Jobs ha espresso rimpianto per alcune di queste sue azioni. […] Ma Isaacson ha raccolto così tanti casi di teppismo professionale e personale – e così tanti del Jobs cresciuto, ‘addolcito’ dagli anni – che persino gli ammiratori di Jobs da lungo tempo dovranno lottare per farsi piacere il ragazzo in questo libro.
Ma davvero molti si stupiscono? Jobs non è mai stato Bill Gates, un filantropo, una persona facile con cui avere a che fare: era un genio. Nessuno ne ha mai elogiato il carattere, la personalità, il modo di porsi quanto, piuttosto, quello che ha fatto. La passione che metteva in quello che faceva, la straordinaria visione, l’importanza che dava alle idee, folli, che gli hanno permesso di cambiare il mondo.
Non era da emulare, non umanamente: le ragioni per cui lo ricordiamo, e stimiamo, sono altre.
Fra due giorni – il 24 Ottobre – uscirà la biografia ufficiale di Steve Jobs, scritta da Walter Isaacson. Per essere sicuri di averla è buona cosa preordinarla: potete farlo su Amazon a partire da questo link. Se alla versione italiana preferite quella inglese, il link è questo.
A voi non costerà nulla in più, ma facendolo supportate Mac Blog a cui andrà parte del ricavato della vendita. Questo blog fa di tutto per restare senza pubblicità, ma se le cose vanno come stanno andando – e gli iscritti alla Membership, a cui nuovamente invito i lettori affezionati ad iscriversi, restano l’esiguo numero che sono attualmente – presto bisognerà reinserirla.
Tim Cook alla commemorazione dedicata a Steve Jobs che ha avuto luogo ieri al campus di Cupertino. La foto è di Apple, l’atmosfera è bellissima. Una ripresa aerea di CNET vi dà l’occasione di avere una visione d’insieme dell’evento. Il New York Times scrive che, fra gli altri, hanno suonato i Coldplay e Norah Jones.
Una festa a cui hanno partecipato migliaia di persone, migliaia di persone che si sono radunate per celebrare la vita di Steve Jobs. Migliaia di persone a cui Steve ha cambiato la vita. Migliaia di persone a cui Steve mancherà sul serio.
E oggi – dopo due settimane – Apple ne ha tolto il volto dall’home page: perché bisogna andare avanti, dopotutto. Anche se non si vorrebbe farlo.
La passione che Steve metteva in quello che faceva: ha lavorato in Apple fino a quanto ha potuto. A quanto pare, fino all’ultimo giorno. Ne ha parlato il CEO di Softbank Masayoshi Son, a PC Mag:
Ho visitato Apple in occasione del lancio dell’iPhone 4S. Mentre stavo avendo una riunione con Tim Cook, mi ha detto “Oh Masa, mi dispiace ma devo lasciare questo incontro.” Ho detto, “Dove stai andando?” e ha risposto “Il mio capo mi sta chiamando.” Quello era il giorno del lancio dell’iPhone 4S. Mi ha spiegato che Steve lo stava chiamando perché voleva discutere assieme a lui di un nuovo prodotto. E il giorno dopo, è morto.
A distanza di giorni da quel giorno capita – più spesso di quanto potessi credere – che qualcuno scriva ancora qualcosa in grado di farmi scendere una lacrima. Come PVP con la sua recente vignetta.
Mantellini spiega sul Post di cosa è morto Steve. Un po’ di chiarezza dopo tutte le inesattezze che sono state scritte i giorni scorsi da diversi blog e quotidiani:
Jobs non aveva un “normale” tumore al pancreas. Quello che gli è stato diagnosticato nel 2003 non era un adenocarcinoma ma un tumore (assai più raro) delle cellule neuroendocrine pancreatiche. Nel pancreas su 100 tumori 95 sono tumori molto maligni (adenocarcinomi) nel 5% dei casi sono tumori di questo tipo. […]
Poi dopo qualche tempo qualcosa è andato storto.La cosa più probabile è che, come capita in certi rari casi, il raro tumore neuroendocrino di Jobs fosse uno di quelli più maligni, capaci di metastatizzare a distanza (tipicamente al fegato). Qui, nella fortuna di non aver avuto un adenocarcinoma, Jobs è stato molto sfortunato. Probabilmente le metastasi epatiche, quando diagnosticate, erano troppe o troppo diffuse per poter essere asportate una ad una dal chirurgo, probabilmente a quel punto l’unica alternativa rimasta era quella della chemioterapia. Che in genere su questi tumori funziona poco ed ecco spiegato il graduale lento scadimento delle sue condizioni fisiche. Probabilmente.
Perché Steve Jobs si vestiva sempre così? La spiegazione l’ha data lui stesso a Walter Isaacson ed è riportata nella biografia ufficiale che uscirà il 24 Ottobre, tuttavia Gawker ha avuto il permesso di pubblicarla in anteprima:
In un viaggio in Giappone nei primi anni Ottanta, Jobs chiese al dirigente di Sony Akio Morita perché tutti nelle fabbriche della società indossassero delle uniformi. Morita rispose che dopo la guerra nessuno aveva a disposizione vestiti, e le società come Sony ebbero il compito di dare ai loro operai qualcosa da indossare per la vita di tutti i giorni. Nel corso degli anni le uniformi assunsero uno stile preciso, specialmente nelle società come Sony, e divennero un modo per legare di più i lavoratori all’azienda. «Decisi di volere lo stesso tipo di legame anche ad Apple», ricordò Jobs.
Sony, da sempre attenta al design, aveva affidato la progettazione delle sue uniformi allo stilista Issey Miyake. Si trattava di una giacca realizzata in fibra di nylon con le maniche che potevano essere tolte per creare una sorta di panciotto. Jobs decise di chiamare Miyake e gli chiese di realizzarne uno per Apple. «Tornò con alcune proposte e disse a tutti che sarebbe stato magnifico se ognuno di noi avesse indossato quelle divise. Ragazzi, quanti “buuu” ricevetti dalla folla. L’idea non piaceva a nessuno», raccontava Jobs.
Grazie a questa vicenda Jobs fece amicizia con Miyake, che veniva a fargli visita di frequente. Jobs iniziò a pensare alla possibilità di avere una divisa tutta per sé, sia per la praticità nella vita di tutti i giorni e sia per dare un segno preciso legato allo stile. «Così decisi di chiedere a Issey di preparare qualcuno dei suoi dolcevita che mi piacevano, e me ne fece fare circa cento». Jobs si accorse del mio volto stupito quando mi raccontò la storia, così decise di mostrarmeli. «Questo è ciò che indosso», mi disse. «Ne ho a sufficienza per il resto della mia vita» (traduzione, Il Post)
Un video che alcuni colleghi di Steve Jobs misero assieme nel 1985, per festeggiare il suo 30esimo compleanno. Immagini rare, con “My Back Pages” di Bob Dylan a fare da colonna sonora.
UPDATE: A causa di problemi legati al copyright, ora il video è muto (il consiglio: fate partire voi la musica)
La giornata di ieri è stata una giornata difficile. L’ho trascorsa interamente davanti al Mac, quando non davanti al Mac davanti all’iPad. L’ho trascorsa in casa, leggendo articoli che altri avevano scritto su Steve Jobs. Leggendo le reazioni che altri avevano avuto nell’apprendere la notizia.
Le storie che giornalisti e blogger ieri e oggi hanno condiviso in rete, le loro emozioni e i loro pensieri: erano genuini, venivano da persone che volevano davvero parlare di Steve Jobs. Da persone che sentivano dentro di loro che dovevano dirgli qualcosa, ringraziarlo per quello che ci ha dato. I pensieri che molti hanno e stanno esternando non sono ridondanti, non sono di troppo, non sono esagerati e nemmeno falsi: sono il nostro modo di dirgli grazie. Ed è bellissimo, che così tante persone lo stiano facendo.
Alcuni non capiscono, cosa ci sia da ringraziare. In fondo, era solo il CEO di un’azienda. Ma chi dice che Steve Jobs era semplicemente un businessman, un grande venditore, non ha compreso appieno la sua figura. Perché Steve Jobs era molto altro. Ed era specialmente la passione che per tutta la vita ha messo nella costruzione dei suoi prodotti.
Ecco, parliamo di passione. Quelli di voi che l’hanno seguito negli anni ricorderanno l’entusiasmo spontaneo che ha sempre portato con sé sul palco, nel presentare al mondo il Macintosh, l’iMac, l’iPhone, l’iPad e tutte le restanti sue creazioni. Era sempre estremamente orgoglioso di ciò che aveva forgiato: ci credeva, lui più di ogni altro. Non realizzava quei prodotti solo per noi: li creava per se stesso. Li creava perché lui sarebbe stato il primo, fra noi, a desiderare di usarli.
Ha continuato a lavorare alla Apple fino ad un mese fa, fino a quando ha potuto, fino all’ultimo. Non riusciva a smettere di fare quello che faceva, perché amava farlo. La Apple non era un lavoro, per lui. Era un hobby. E quello che faceva alla Apple, quello che creava, era quello in cui credeva.
Ecco cosa ha sempre significato, per me, scegliere Apple: scegliere Steve Jobs. Le sue idee e la sua passione. Ci sono altre aziende qua fuori che fanno ottimi prodotti ma nell’acquistarli non ho mai provato la sensazione che ho avuto ogni volta che ho scelto un oggetto Apple. La sensazione che, come scrive Il Colophon, l’oggetto acquistato venisse direttamente dalle mani di Steve Jobs. Che fosse lui, a porgermelo. Che fosse un suo regalo a me. Un suo regalo all’umanità.
Quando diciamo che Steve Jobs ha influenzato le nostre vite non stiamo esagerando, e non stiamo ripetendo tutti una frase senza senso. Molte persone oggi lavorano grazie ad Apple. Gli sviluppatori della Panic, per esempio. Molti giornalisti tecnologici amano quello che fanno grazie al lavoro di Steve Jobs e alla sua passione, che è riuscito a trasmettere a milioni di persone.
Steve Jobs ha ispirato milioni di persone. Per usare la parole di una pubblicità da lui voluta: potete glorificarlo o odiarlo, ma non potete ignorarlo. E’ innegabile che il mondo dopo Jobs è un mondo diverso da quello prima di Jobs.
E’ vero quello che molti sottolineano: non ha inventato i computer e, se è per questo, neppure i cellulari. Ma – come ricorda Stephen Fry – nemmeno Henry Ford inventò il motore, né Dostoevskij né Tolstoy inventarono il romanzo e Walt Disney non scoprì per primo l’animazione.
Il merito di Steve Jobs, uno fra i tanti, è stato quello di esser riuscito a emozionare la gente con la tecnologia. A convincerci che i computer e i telefoni non dovevano solo essere utili ma potevano anche essere belli e trasmettere qualcosa. A creare degli oggetti nei quali la tecnologia fosse solo una delle due componenti. Oggetti che nascevano dalla fusione fra tecnologia e arti liberali, come lui stesso diceva.
Ha dato un’anima a dei computer che, prima del suo arrivo, erano beige.
***
Ieri ho trascorso la giornata leggendo articoli e soffermandomi su segmenti di vecchi filmati in cui Steve Jobs annunciava l’ultima sua creazione. A volte, spesso, i filmati non li guardavo, a dire il vero. Lasciavo semplicemente che la sua voce si diffondesse in sottofondo nella mia stanza.
E’ stata una giornata stancate, ieri, e arrivata la sera mi sono infilato nel letto, distrutto. Ma è stata necessaria. L’attaccamento morboso che ho avuto per le notizie, le storie, le immagini ed i video relativi a Steve è spiegabile in un solo modo: che ancora non volevo credere a quello che era successo. Che continuando a leggere racconti che lo riguardavano avrei in qualche modo potuto prolungarne la vita.
Poi oggi mi sono svegliato. Ho letto altri articoli: erano belli, erano toccanti; come quelli del giorno precedente. Ma domani, o comunque presto, diminuiranno e un giorno la gente smetterà di scriverli. Passerà oltre. Non perché la gente sia stronza, ma perché è giusto così. Perché la vita non si ferma davanti alla morte.
E anche io, presto, passerò ad altro. Oggi non ho consumato l’intera giornata davanti al Mac, ma ho fatto quello che avrei dovuto fare normalmente. E più tardi uscirò. Ho capito che Steve Jobs non c’è più, solo mi ci sono volute 24 ore per accettarlo.
Non sono mai stato bravo, con gli addii. Ho lasciato molte persone senza salutarle. Molte persone che forse non rivedrò mai più. Stavo per fare lo stesso. Ho pensato che era già stato detto così tanto e così bene, da gente più brava di me, che a cosa sarebbe servito un mio saluto? Poi ho capito che non sarebbe stato giusto, non questa volta.
‘The Steve Jobs I Knew‘ è l’articolo che ha scritto oggi Walt Mossberg; probabilmente il giornalista che ha avuto l’occasione di incontrare più di frequente, più di ogni altro, Steve Jobs. Walt racconta in quell’articolo, che indiscutibilmente merita una lettura, una serie di brevi ma significative storie.
L’unica conferenza a cui Steve Jobs partecipava regolarmente, e anche l’unico evento che in qualche modo non controllava, era il nostro “D: All Thing Digital”, dove è apparso più volte sul palco. Avevamo una regola che lo infastidiva davvero: non permettevamo mai l’uso di slide, che erano il suo strumento principale di presentazione.
Un anno, circa un’ora prima del suo ingresso, sono stato informato che era nel backstage a preparare decine di slide, nonostante gli avessi ricordato una settimana prima della nostra policy “no-slide”. Ho detto a due dei suoi aiutanti di informarlo che non avrebbe potuto usare le slide, ma entrambi mi hanno detto che non potevano, che dovevo essere io a dirglielo. Quindi, sono andato nel backstage e gli ho detto che le slide erano fuori questione. Famoso per essere pervicace, avrebbe potuto precipitarsi fuori, rifiutarsi di andare avanti. E infatti provò a discutere con me. Ma, quando ribadii la regola mi disse semplicemente “Okay”. E andò sul palco senza diapositive. E fu, come sempre, un successo.
Post-it e tanti grazie, fuori dall’Apple Store di San Francisco. Foto di CNET.
Think Different, letta da Steve Jobs. Non è mai andata in onda. Alla fine scelsero la voce di Richard Dreyfuss, nonostante così fosse perfetta.
About the only thing you can’t do is ignore them. Because they change things. They push the human race forward. And while some may see them as the crazy ones, we see genius. Because the people who are crazy enough to think they can change the world, are the ones who do.
Oggi è un giorno triste. Quando questa mattina mi sono svegliato ho ricevuto diversi messaggi che dicevano “È morto Steve”. Lo chiamavano semplicemente Steve, come fosse un nostro amico, come se lo conoscessimo, come se facesse parte delle nostre vite. Ma non è, in qualche modo, proprio così?
Non ho ancora risposto, a quei messaggi. Non so se lo farò. Non ho sinceramente nulla da dire. Non mi viene nulla da dire. Molto è stato già detto quando diede le dimissioni ad Agosto, altro probabilmente leggerete oggi. Ma, per il momento, io non andrò oltre ad un grazie. Grazie di tutto, Steve.
Apple ha perso un visionario e un genio creativo, e il mondo ha perso una meravigliosa persona. Quelli fra di noi che sono stati abbastanza fortunati da conoscere Steve e lavorarci assieme hanno perso un caro amico e un mentore. Steve lascia dietrò sé un’azienda che solo lui avrebbe potuto costruire, e il suo spirito sarà sempre il fondamento di Apple.