Ethan Marcotte:

I want to suggest that web design has, as a practice, become industrialized, and I want to look at how that will change the nature of our work in the months and years to come. I want to talk about how the web has always excelled at creating new kinds of work, before rendering that work—and its workers—invisible. […]

As more people use a technology, standards are established, and infrastructures are put in place to support that new technology. There’s also a shift in the relationship between a technology, and the people who use it. In the first phase, the user is intimately involved with the technology, and may have a great deal of control over it; in this phase, however, that control is lessened, and the role of people—whether users or workers—is drastically reduced.

Fine del .it

Quindi pare che questo sia l’ultimo post per un po’ in italiano. Che non mi sembrava giusto passare dall’italiano all’inglese senza dire una parola. Si fa una prova: che lo si scrive in inglese, il blog, per un po’. È una prova. Che poi magari non mi piace, magari non funziona, e si torna indietro. Non voglio promettere nulla. Ma per il momento lo si scrive in inglese. Che alla fin fine era già per un 50% in inglese, quindi non cambia molto. Voi dovevate comunque conoscerlo l’inglese, per capirlo, questo blog. E gli altri, gli altri invece beh: gli altri ovviamente l’italiano non lo sanno. Ed è già di per sé una cosa buona che lo si scriva, in italiano o in inglese, questo blog: che è passato un anno, un anno esatto, dall’ultima volta che ci eravamo sentiti.

Poi — se non l’avete notato — c’è una nuova grafica e tutto il resto, anche.

Anil Dash:

As extraordinary as it seems now, there was a point when one could search most of the blogs in the world and get a reasonably complete and up-to-date set of results in return. Technorati was a pioneering service here, and started by actually attempting to crawl all of the blogs on the Internet each time they updated; later this architecture evolved to require a “ping” (see Updates, below) each time a site updated. On the current internet, we can see relatively complete search results for hashtags or terms within Twitter or some other closed networks, but the closure of Google Blog Search in 2011 marked the end of “blog search” as a discrete product separate from general web search or news search

I social network ci hanno portato i like e un sistema semplice per seguire i nostri amici online, ma non tutto è diventato più semplice. Mentre una volta c’era un sistema per trovare tutti gli articoli pubblicati dai vari blog online, oggi bisogna cercarli dentro ciascun social network, separatamente. Un’altra funzionalità che è andata quasi completamente perduta è il TrackBack — un modo semplice per comunicare fra siti, inviare e ricevere risposte su domini differenti.

Alan Jacobs ha scritto un buon post che va a completare (per tematica) quello che ho pubblicato l’altro giorno, sul perché leggere i blog:

The chief reason I blog is to create a kind of accountability to my own reading and thinking. Blogging is a way of thinking out loud and in public, which also means that people can respond — and often those responses are helpful in shaping further thoughts.

But even if I got no responses, putting my ideas out here would still be worthwhile, because it’s a venue in which there is no expectation of polish or completeness.

Seth Godin:

Other than writing a daily blog (a practice that’s free, and priceless), reading more blogs is one of the best ways to become smarter, more effective and more engaged in what’s going on. The last great online bargain.

Good blogs aren’t focused on the vapid race for clicks that other forms of social media encourage. Instead, they patiently inform and challenge, using your time with respect.

Here’s the thing: Google doesn’t want you to read blogs. They shut down their RSS reader and they’re dumping many blog subscriptions into the gmail promo folder, where they languish unread.

And Facebook doesn’t want you to read blogs either. They have cut back the organic sharing some blogs benefitted from so that those bloggers will pay to ‘boost’ their traffic to what it used to be.

Mi accodo. Nessuna alternativa agli rss — che sia Facebook, che sia Twitter — vale quanto la lista di blog e feed rss che negli anni mi sono costruito, fatta di opinioni che posso ricondurre a persone, fatta da siti piccoli meno ossessionati dal numero di pagine viste. Iscriversi a un feed rss è come iscriversi a una persona e alle sue idee. Come scriveva Anil Dash tempo fa l’unità fondamentale di un blog non è l’articolo, l’unità fondamentale di un blog è lo stream. Non è il singolo articolo a renderlo interessante, ma l’insieme degli articoli che si susseguono.

È un vero peccato che dalla morte di Google Reader in poi siano caduti in disuso — sono una cosa per geek, per addetti ai lavori, e neppure credo oramai che abbiamo molte possibilità di battere le alternative basate su algoritmi. Se avete smesso di utilizzarli vi invito però a ridargli una chance: tutto sta nella selezione di alcune fonti non rumorose ma valide.

E se siete alla ricerca di un client, per me il migliore è Feedbin.

(via Andrea Contino)

Sono mesi che ho in mente di rifare il tema di questo blog — non tanto cambiargli grafica, quanto rifarlo da capo anche uguale per eliminare le infinità di #id e ripetizioni che mi disturbano la pace interiore, e sfruttare meglio alcune funzionalità di WordPress (come le tassonomie personalizzate). Il tema corrente venne creato nel 2012 e da allora l’ho modificato svariate volte in itinere, così che — anche se appare normale — nasconde orrori. Per il momento, però, dato che ho capito che non verrà sistemato come si deve a breve (per mancanza di tempo), ho apportato un’aggiustatina minore.

Ho dato una sistemata alle segnalazioni — articoli che ho letto e mi sono piaciuti. Si trovato in homepage subito sotto l’ultimo articolo pubblicato. Si trovano lì sotto da tanto tempo, ma ora gli ho dato un po più rilevanza — contengono anche un estratto.

Magari entro un mese arriva anche una pagina a parte con un archivio, e un feed rss a parte (non compaiono, per ora, nel feed rss).

Automattic, l’azienda dietro WordPress, ha acquistato il dominio di primo livello .blog. Dal prossimo autunno inizieranno le registrazioni — dicono che i prezzi saranno in linea a quelli di altri domini di primo livello, e che saranno aperte a tutti (non servirà, ad esempio, avere un sito che risiede su WordPress.com per farne uso)

Ben Brooks ha tolto le statistiche dal proprio blog, perché il numero di visite e pagine viste è davvero una metrica piuttosto inutile e per evitare di rimanerne influenzato:

You start to analyze which posts get the most traffic. You begin to wonder why: was it the style, the topic, the humor, the images. What was it that made that post so popular?

And since you do that, you start to think you should keep writing on the topics which were popular in the past.

This puts you in the bad spot. You will soon feel cornered into a particular type of post, a particular style. You’ll feel stuck.

Questo blog usa GoSquared, che però controllo sempre meno — e per questa ragione il post di Ben Brooks mi spinge a considerare a mia volta l’idea di fare a meno delle statistiche.

A tal proposito, Medium a sua volta — per quantificare se un articolo abbia successo o meno, con tutti i problemi che incorrono — ignora il numero di visitatori, guardando invece al tempo che è stato speso leggendo un articolo. Scrive Ev Evans:

We pay more attention to time spent reading than number of visitors at Medium because, in a world of infinite content — where there are a million shiny attention-grabbing objects a touch away and notifications coming in constantly — it’s meaningful when someone is actually spending time. After all, for a currency to be valuable, it has to be scarce. And while the amount of attention people are willing to give to media and the Internet in general has skyrocketed — largely due to having a screen and connection with them everywhere — it eventually is finite. […]

If you look at the other best tech company there is — Apple — it’s clear they are not optimizing for number of people using their products. While network effects (and revenue) mean that they clearly care about that, they’ve built the most valuable company on the planet by focusing on building the best product possible — in fact, one of their strategies is building an integrated set of products and selling as many of them as possible to the same user (at a healthy margin).

Il web delle relazioni

Zeynep Tufekci riflette su cosa hanno fatto i social network ai blog (blogger) politici, soprattutto nelle zone in cui non c’è molta libertà (Zeynep parla soprattutto della Turchia). Ci sono aspetti positivi e negativi. Di positivo c’è che è molto più difficile censurare e bannare un intero social network rispetto a un blogger isolato, che può essere minacciato con attacchi DDOS e bloccato restando senza molti modi di difendersi:

Unlike a blogger, it’s very hard to isolate and ban Facebook or Twitter. A blogger can be placed in jail, a network of people on a platform with millions of users is much harder. In the past, the people who read the political blogs were mostly political people.

Di negativo c’è che ai social network non interessano davvero i contenuti di quel tipo. I social network sono ottimizzati per consegnare pubblicità, per distribuire contenuti che attirano mi piace:

Despite being populated mostly of dissidents around the world, some in exile, many friends in jail, hiding, or in open rebellion, my Facebook feed sometimes feels like Disneyland.

Un link non è solo un link, ma è una relazione, una connessione fra due persone, scrive Tufekci. E questo web di relazioni è proprio ciò che rischiamo di perderci passando ai social network, passando a un web le cui logiche sono dettate anche dal modello di business del prodotto che utilizziamo per comunicare.

So maybe there is a “link fetishism” that obscures the true heart of a link: it’s a connection between people. The current attention economy and its obsession with numbers — and virality — obscures this core fact about what is beautiful about the web we loved, and one we are trying not to lose. We are here for each other, not just through the fluffy, and the outrageously shareable, and the pleasant and the likable — but through it all. When we write, and link to each other, we are connecting to each other, not merely to content.

Microblogging con WordPress

Mi piace molto l’idea, di cui sono venuto a conoscenza grazie al blog di Manton Reece, di rubare a Twitter il monopolio della timeline portando il microblogging sui blog — diffondendo timeline ovunque. È semplice: il prodotto principale di Twitter è la timeline, un flusso di post brevi ordinati cronologicamente. Scrive Manton:

For the last few years, Twitter has had a monopoly on the timeline. We need to break that up. The first step is encouraging microblogs everywhere, and the next step is to build tools that embrace the timeline experience.

WordPress da tempo permette di associare un formato ai post, un micropost potrebbe essere un normale post, marcato come status dentro WordPress, visualizzato in maniera differente dagli altri. Ad esempio, non dovrebbe avere un titolo, dovrebbe ovviamente essere breve, venire distribuito in un rss separato ed essere facile da creare da smartphone (ad esempio, sfruttando IFTT).

Non è un’idea nuova, Winer ne scriveva nel 2008, ma è ora molto facile da implementare. Il mio uso di Twitter è diminuito drasticamente negli ultimi anni, ma questo non perché il formato — o lo strumento — non siano utili. Personalmente, credo mi sarebbero utilissimi: mi permetterebbero di commentare brevemente, senza dover ricorrere alla pesantezza di un post.

In altre parole, penso ve li ritroverete presto su Bicycle Mind.

Thomas Brand ha aggiornato il suo Egg Freckles, facendo in modo che i linked-post spariscano dal sito passato un certo periodo. In altre parole, ha costruito un blog effimero, senza archivi, i cui post (quelli che rimandano ad articoli esterni, come questo) hanno una data di scadenza:

For the last five months I have been practicing a new way of blogging. Articles of reference receive a permalink with a link on my homepage and a link in my RSS feed. Quotations and comments are displayed in full on the homepage and in the RSS feed, but do not receive a permalink of their own. As I write, older quotations and comments are pushed down the homepage and lost from the site forever.

Perché? Per preoccuparsi di meno della scrittura, e scrivere con più leggerezza. Non è un esperimento che metterei io stesso in atto, ma è senz’altro interessante da osservare (e da considerare, come opzione).

ifo Apple Store (dove ifo sta per in front of) chiude dopo 14 anni di attività. Gary Allen lo aprì nel 2003, quando gli Apple Store erano ancora una novità, e quando fare la notte per l’inaugurazione di un nuovo store era una cosa nuova:

After following Apple retail for 14 years, I’ve reached a happy ending, and am gracefully backing away from the crazy world of following the company and its stores. No more stories or analysis, or flying out to far-flung locations to join overnight crowds,waiting for the excitement of new store opening (NSO). I began this Web site as simply a way of celebrating the fun of grand openings and the close friendship of the people I met when I arrived in a new country or city. My first overnight camp-out was with my son Devin on the sidewalk in front of the epic Palo Alto store in October 2001, I continued to other store openings with him in China, Australia, UK and other countries. I’ve visited over 140 stores around the world. I even drove cross-country back in 2011 to celebrate the chain’s first store. Along the way, I have enjoyed every experience and personal encounter. I’ve met and corresponded with people from every continent who share my enthusiasm for Apple, its employees and products. Back in 2001, It seemed like I was the only person studying the stores. In fact, most onlookers were skeptical of the stores’ future success.

Oggi Melamorsicata compie dieci anni. Sono dieci anni che Kiro — che seguo (e apprezzo) da allora — ci scrive tutti i giorni, con una media di 6 articoli al giorno (si è affaticato non poco!):

A 10 anni di distanza da quel giorno sono ancora qua. Con la differenza di oltre 21.200 articoli scritti sull’argomento. Una palestra quotidiana che non si è fermata mai. Non c’è stata febbre, festa, laurea, Natale, vacanza estiva che mi abbi fermato. Ogni giorno, tutti i giorni degli ultimi 10 anni, è apparso almeno un articolo al giorno sull’argomento.

Non che sia andata sempre tutto bene. L’inesperienza dei primi tempi e la fretta di raccontare mi hanno spinto a non fare sempre un buon lavoro. Ma la voglia c’era sempre ed è cresciuta nel tempo. […]

Ho iniziato questo blog perché volevo costruirne uno che a me sarebbe piaciuto leggere. Non sono mai riuscito a convincermi a pianificare una strategia ben precisa e attenermi a quella. Ho sempre dato voce solo alla passione. Questo mi ha portato dove sono ora. Qui, forse da nessuna parte, forse più in alto di quanto meritassi.

A pensare che, fra non molto, questo blog avrà dieci anni a sua volta un po’ mi inquieto.

L’unità fondamentale del blog non è l’articolo. L’unità fondamentale del blog è lo stream

In occasione del 15esimo anniversario del suo blog, Anil Dash scriveva:

Lo scroll è tuo amico. Se hai pubblicato un post brutto o qualcosa che non ti piace, semplicemente scrivi qualcosa di nuovo. Se hai pubblicato qualcosa di cui sei particolarmente orgoglioso e nessuno se la fila, semplicemente scrivine di nuovo. Un passo dopo l’altro, una parola dopo l’altra, è l’unico fattore comune che ho trovato a questo blog di cui sono orgoglioso. I post scendono nella pagina, e il buono e il brutto semplicemente scorrono via.

È una descrizione perfetta di un blog. Non è il singolo articolo a renderlo interessante, ma l’insieme degli articoli che si susseguono. Articoli magari inconcludenti, ma il cui insieme dà forma a qualcosa di interessante. E se un articolo non funziona se ne scrive uno nuovo, o se un’idea non è stata ben espressa la si esprime di nuovo. Lo stream si porta via tutto. Come sollinea Michael Sippey su Medium, “l’unità fondamentale del blog non è il post. L’unità fondamentale del blog è lo stream”. Il valore di un post è derivato (spesso) dal blog di provenienza e dall’autore/blogger.

L’ultimo aggiornamento di Medium, che agevola contenuti brevi, è un ritorno in quella direzione, verso lo stream. Mentre il vecchio Medium cancellava l’autore (Joshua Benton: “La cosa più radicale di Medium è che cancella l’autore […], lo degrada, lo rende secondario“) per sostituirsi fra il pezzo e il lettore — provando a instaurare l’idea che Medium = qualità — il nuovo Medium rimette l’autore (e lo stream) al centro.

La domanda è: qual è il modello più corretto oggi? Organizzare il materiale per collezioni, oppure per autore? L’autore ha ancora uno spazio, oppure il web di oggi (con lettori guidati dai social network) agevola contenuti atomici — cancellando l’autore e di conseguenza la costruzione di uno stream/audience? Domande che il The Atlantic si è posto in “What Blogging Has Become“:

Cos’è la scrittura su web nel 2015? Ruota ancora attorno all’autore? E se ti piace osservare un autore nel corso del tempo (o ti piace avere questa libertà come autore), c’è ancora un modo di farlo? Oppure i contenuti sono diventati atomistici [a sé stanti] e non è più possibile raccogliere attorno a una voce un audience? Il nuovo Medium è una scommessa che è rimasto qualcosa di valido nel modello che ruota attorno all’autore.

TUAW, e il declino dei grandi siti dedicati a Apple

John Moltz ha postato un tweet interessante:

 I’m not exactly sure why Apple’s success is having an inverse effect on the corporate-owned Apple sites.

È una risposta all’annunciata chiusura di TUAW, “The Unofficial Apple Blog” (esiste dal 2003, e dal 2005 appartiene a AOL). C’è stato un tempo in cui lo ricevevo via rss, e in cui TUAW era una fonte frequentemente menzionata nella blogosfera — sì, si parla di quando si usava il termine blogosfera. Ma il successo di Apple sembra stare avendo un effetto opposto ai “grandi siti” stile TUAW, appartenenti a un network più grande e generico.

La storia raccontata dalla controparte italiana è simile — ne dico tre che un tempo furono interessanti, ma oramai non visito da anni: Melablog, Macworld e Macitynet [1. Quelli che mai furono validi, oggi godono sorte anche peggiore]. La qualità delle notizie di TUAW & simili è molto scarsa: comunicati stampa, rumors, recensioni apatiche [2. Spesso costruite attorno alle specifiche tecniche, e a una lista di features] di prodotti e applicazioni poco interessanti, roba “esclusiva” che non lo è, etc.; tutto materiale scontato e disponibile ovunque in mille altre declinazioni. O forse eravamo tutti così anni fa, e semplicemente loro hanno mantenuto con la stessa linea: nuovo aggiornamento per OS X, nuovo rumors su iPhone, nuovo brevetto registrato da Cupertino, altro rumors più due nuove applicazioni di dubbia qualità.

Il problema è che la copertura di TUAW & simili non approfondisce, non più se non altro, né aggiunge nulla; ad approfondire sono i blog più piccoli. I contenuti di TUAW e degli altri grandi aggregatori semplicemente non interessano quando i blog più piccoli, indipendenti, curati da una sola persona (o comunque di piccole dimensioni, come MacStories), offrono una selezione più interessante di notizie, e degli articoli costruiti con più cura. Recensioni personali. Separazione chiara fra contenuto e pubblicità (senza comunicati stampa mischiati ovunque).

Considerate questi, assieme alla valida copertura data da The Verge (Re/code, e simili) alle notizie che riguardano Apple. Ora visitate TUAW, o altri fra i siti menzionati sopra, e chiedetevi: c’è qualcosa che già non so? C’è una notizia interessante che non avevo letto altrove? La selezione è valida?

La risposta raramente è sì.