Perché non è immorale bloccare la pubblicità sul web

A Settembre uscirà iOS 9, che introdurrà i “content blockers”: gli sviluppatori potranno scrivere estensioni per Safari per bloccare un determinato contenuto. In altre parole, all’improvviso a Settembre sarà possibile, su iPhone e iPad, bloccare la pubblicità su Safari, e gli effetti di strumenti come AdBlock si moltiplicheranno. Agli utenti sarà sufficiente installare un’estensione per liberarsi in poco tempo di tutti i fastidi del web: pubblicità invasiva e sovrapposta al contenuto, video con autoplay e porcate varie avranno un brutto tempo. All’improvviso milioni di utenti realizzeranno quanto un web senza pubblicità sia più veloce e comporti più privacy (i content blocker potranno bloccare anche i vari strumenti di tracking, di cui i grandi editori abusano). Come ben scrive Charles Arthur, “mobile is the biggest platform. Adblocking is coming to a key mobile platform in September“.

La situazione sarà interessante. Come riporta il New York Times, già adesso l’uso di ad-blocker sta costando agli editori parecchi soldi:

In a report last week, Adobe and PageFair, an Irish start-up that tracks ad-blocking, estimated that blockers will cost publishers nearly $22 billion in revenue this year. Nearly 200 million people worldwide regularly block ads, the report said, and the number is growing fast, increasing 41 percent globally in the last year.

Il punto è, è immorale questa cosa? Secondo alcuni è ingiusto che i lettori decidano di bloccare la pubblicità, dato che è l’unico modo per certi siti di generare un guadagno e sopravvivere. Dal mio punto di vista, c’è pubblicità e pubblicità. I content blockers non sono altro che la risposta ai pop-up moderni: così com’è stato giusto, anni fa, offrire agli utenti la possibilità di bloccare gli abusati pop-up, è oggi giusto spiegare a quei siti che fanno uso di pratiche altrettanto indecenti che non siamo costretti a subire qualsiasi stronzata decidano di infilare nelle loro pagine. Un conto è un banner, tutto un altro conto è un banner che rimbalza sullo schermo, si chiude a fatica, inizia a riprodurre un video e mi blocca il contenuto che stavo tentando di leggere mentre nel frattempo mi scheda e inserisce in un database.

Questi siti la cui strategia è infastidire il lettore infestando le loro pagine con pubblicità invasiva, e raccogliere quante più informazioni sul lettore (ignaro), probabilmente avranno seri problemi a partire da Settembre. Ma è un problema mio o nostro? È un problema di Apple? Apple punta a offrire la migliore esperienza utente possibile, e questi metodi stanno davvero rovinando il web e la navigazione da Safari: il web è più lento, meno piacevole, e ricco di rischi a causa di queste pratiche. Le pubblicità spesso non sono semplici pubblicità ma pezzi di software, per non dire una specie di malware che raccoglie senza alcun consenso quanti più dati possibili sul visitatore. E questi malware costano traffico dati e privacy.

Per rubare le parole a Marco Arment:

Publishers, advertisers, and browser vendors are all partly responsible for the situation we’re all in. Nobody could blame the users of yesteryear for killing pop-up ad rates, and nobody should blame the users of 2015 for blocking abusive, intrusive, misleading, and privacy-stealing ads and trackers, even if it’s inconvenient for publishers and web developers. […]

Modern web ads and trackers are far over the line for many people today, and they’ve finally crossed the line for me, too. Just as when pop-ups crossed the line fifteen years ago, technical countermeasures are warranted.

Web publishers and advertisers cannot be trusted with the amount of access that today’s browsers give them by default, and people are not obligated to permit their web browsers to load all resources or execute all code that they’re given.

Ho resistito alla tentazione di bloccare la pubblicità a lungo, ma pochi mesi fa ho cambiato idea (sul Mac uso Ghostery). Credo non sia un dovere del lettore accettare qualsiasi cosa l’editore imponga, spesso in maniera poco trasparente. I content blocker permetteranno ai lettori di sapere cosa succede dietro le quinte e di intervenire se necessario. Ed è giusto così.

Riguardo ad AdBlock ho un’opinione ambigua. Ne faccio un uso selettivo: quei siti che mi mettono della pubblicità come background della pagina e mi aprono ventisei popup per click possono stare certi che i miei occhi non incroceranno mai una loro pubblicità; non vedo però perché dovrei essere così stronzo da privare di possibili entrate, se non le uniche, quei siti (spesso di dimensioni ridotte) che mi trattano in maniera decente. Se un sito ha poca pubblicità, e inerente al contenuto, non la tolgo — a meno che non lo stia già supportando in un’altra maniera (molti offrono un’opzione per rimuoverla, previa iscrizione a un’abbonamento mensile; un sistema che sta sperimentando anche Google, con AdSense). Capisco chi rimuove la pubblicità per questioni legate alla privacy e raccolta dei dati personali, non capisco chi ha problemi con uno o due spazi pubblicitari (mi sembra un discorso simile al volere e pretendere che le applicazioni su iPhone siano tutte gratuite o, al massimo, non superino i 99 centesimi).

Comunque, non c’entra con la notizia: AdBlock Plus ha stretto un accordo con Microsoft, Google e Amazon per evitare che alcune loro pubblicità vengano filtrate dal sistema. Dopo aver fornito un’opzione per rimuovere la pubblicità, AdBlock Plus chiede soldi ai medesimi siti per ripristinare la loro pubblicità. Gruber parla di estorsione. Che l’opzione esista è di per sé vergognoso.