Fui un infelice possessore di uno dei primi Asus EeePC; oggi che diversi parlano della morte dei netbook direi: per me sono morti un mese dopo l’acquisto di quel computer. E poi, cinicamente, aggiungerei che ne sono contento.

Charles Arthur, sul Guardian, elenca le stime di vendita che vennero fatte nel 2009 e il numero effettivo di modelli venduti attualmente, dopo l’arrivo dei tablet e dei MacBook Air[1. Se volete chiamateli Ultrabook, che come sappiamo sono sempre MacBook Air]:

If you believed ABI Research in 2009, then next year netbooks will sell 139m. […] Actually, the number sold in 2013 will be very much closer to zero than to 139m. The Taiwanese tech site Digitimes points out that Asus, which kicked off the modern netbook category with its Eee PC in 2007, has announced that it won’t make its Eee PC product after today, and that Acer doesn’t plan to make any more; which means that “the netbook market will officially end after the two vendors finish digesting their remaining inventories.

Ne parla anche Farhad Manjoo su Slate, mettendo più enfasi sul ruolo di Apple nella loro dipartita (che ricordo, molti criticarono per non essere entrata in quel mercato):

True, the iPad, unlike the netbook, doesn’t come with a keyboard or a pointing device. But you can buy a keyboard for it—and if you want a pointing device and Windows, you buy Microsoft’s Surface or one of the many “hybrid” laptop/tablet Windows 8 machines now hitting the market. Or, if you want a “real” computer, you can buy a MacBook Air (which now goes for $1,000) or any of its Windows “ultrabook” clones.

Matt Gemmel elenca le possibili quattro ragioni per cui esiste un prodotto come l’HP Envy, nato dopo che una troupe di designer dell’HP si è recata dentro un Apple Store e, guardando i prodotti esposti, focalizzando l’attenzione su un MacBook Pro, si è detta “perché non lo facciamo identico?”

  • Esistono consumatori che vogliono quel determinato prodotto ma non da quella determinata azienda. Persone che apprezzano il MacBook Air ma vogliono un Ultrabook, perché il primo è della Apple.
  • Consumatori che non possono permettersi di acquistare l’originale e finiscono col ripiegare su una copia di esso.
  • Il prodotto originale è diventato un archetipo della sua classe e definisce lo stile di tutti gli altri.
  • La gente vuole più ‘manifestazioni’ dell’originale, se l’originale ha successo. Pensate ai sequel dei film che fanno un alto incasso, o ai romanzi di successo che ne creano molti altri con cui condividono una trama simile.

L’appagante morte delle specifiche tecniche

Ecco una cosa su cui insisto, come Apple, da parecchio tempo: che le specifiche tecniche siano secondarie. Che sia inutile, se non stupido, guardare di un dispositivo la RAM che ha all’interno se poi comunque non svolge bene i compiti per cui è stato pensato. Che non conta il processore, ma quello che quel determinato device ti consente di fare, anche con un processore modesto.

Che non solo è noioso parlare di queste cose, ma nemmeno dicono nulla sul prodotto che stiamo valutando. Per usare le parole di Apple, non è il giusto approccio. L’era post-PC ha bisogno di essere analizzata in maniera più complessa, con uno sguardo ad un quadro più ampio che tenga conto non solo di CPU e RAM, ma dei servizi offerti. Del software.

Che, in altre parole, tutti quei giornalisti che recensendo i concorrenti dell’iPad snocciolano le specifiche tecniche dei suddetti non hanno capito molto, così come non hanno capito molto coloro che parlando di un Mac se ne escono con la frequente — sempre temuta da un utente Mac — frase “Con metà soldi compri un computer il doppio potente”. Anche se fosse vero, non la quantità di RAM e funzioni non ci dicono nulla sull’effettiva usabilità del computer.

Il medesimo fallimentare discorso si sta proponendo in questi giorni con gli ultrabook – i designati concorrenti del MacBook Air – e Techcrunch giustamente ha deciso di sottolineare l’assurdità dell’intero modo di pensare:

Il mio MacBook Air non ha le specifiche tecniche dell’ultimo latop HP – ma continua a sembrare più veloce. Magari è OS X, o magari è l’SD. Il punto è che ai consumatori non interessa e nemmeno dovrebbe. Gli interessa quale macchina si accenderà più in fretta e quale sarà più facile da utilizzare. […]

Stiamo assistendo a delle critiche verso a chi compara i prodotti semplicemente guardando le specifiche tecniche. Perché alla fine, a chi interessa come il device appare sulla carta? È come sembra all’utente che conta davvero.

Riassumendo:

  • Non conta com’è fatto il computer, ma come sembra all’utente. Se il computer funziona bene, allora è fantastico. Se il computer ha una CPU incredibile, ma l’esperienza d’uso complessiva è mediocre: ma chissenefrega, no?
  • L’ecosistema è più importante della RAM.
  • Il software è più importante dell’hardware.
  • Non conta quante features, ma quali features.
  • È facile farcire un prodotto di features, più difficile è costruire qualcosa di sensato, dare un senso a queste funzioni.

L’iPhone, così come l’iPod e praticamente ogni altro prodotto Apple, è stato frequentemente criticato per quello che non era in grado di fare. L’iPod non aveva il supporto alla radio FM, ma quell’altro mp3 player sì. Conclusione: l’iPod è spacciato. Consiglio: comprate l’altro mp3 player, perché ha la radio!

Ma in pochi hanno comprato l’altro mp3. Questo perché non è significativo il numero di cose che un device è in grado di fare ma come svolge quelle che offre. Apple da sempre lavora rimuovendo il superfluo, le features di contorno, quelle accessorie, e lasciando semplicemente quello che davvero conta. Da lì il look minimalista dei dispositivi, da lì il famoso motto “less is more”. E da lì la rabbia dei recensori vecchio stampo che non capiscono perché un dispositivo con una tabella tecnica lunga la metà dei concorrenti possa vendere il triplo.

Ora si inizia a capirlo. L’esperienza d’uso di un oggetto – un insieme di diversi fattori quali hardware, software e servizi – è più rilevante di quello che l’oggetto ha dentro. Non solo: è anche più difficile da ottenere.

Marco Arment ha commentato così il nuovo ultrabook – ma forse dovremmo chiamarlo MacBook Air, vista la (fortuita?) somiglianza – di Asus:

Credo che fra due anni guarderemo agli ultrabook ridendo. È una categoria di latop creata e commercializzata da Intel che significa semplicemente “PC che copiano il MacBook Air quanto più possibile”, e Intel ha dovuto creare un fondo di 300 milioni di euro per aiutare i produttori di PC a fare questo. […]

È triste, davvero, che lo stato dell’arte nel mondo dei PC sia tentare di copiare Apple. Perché Asus non ha provato a distruggere il MacBook Air con qualcosa di radicalmente migliore?

Il nome, però, almeno quello, è diverso: il MacBook Air di Asus si chiama Zenbook. Arstechnica l’ha provato definendone buone le prestazioni, non troppo soddisfacente la qualità dell’audio e dello schermo, terribile il trackpad: funziona a malapena.

Dalla scorsa settimana sono arrivati sul mercato gli Ultrabook, ovvero la risposta di HP, Acer, Toshiba e altri produttori di PC al MacBook Air. Da molte angolazioni somigliano non poco all’originale di Apple, che ricordano anche in diversi dettagli e scelte, non fosse che sembrano la versione economica e dozzinale dello stesso.

Tutto bene, tutto come al solito, non fosse che di fatto non sono la versione economica: sui prezzi sono un po’ tirati, i loro produttori fanno fatica a competere con quelli di Apple e dicono che probabilmente, forse, scusateci, eh, ma i nostri ultrabook costeranno come il MacBook Air:

In questo settore il prezzo magico sembra essere 1.000 dollari ma pare che i produttori di PC stiano lottando per riuscire ad offrire il prodotto a questo prezzo e continuare a mantenere allo stesso tempo un margine di guadagno per loro stessi. (*)

Ma come? I PC non costavano mica meno dei Mac? Che storia è mai questa?!