Il futuro delle notizie sembra essere quello di vivere dentro canali tematici, distribuite su diverse piattaforme. Se così fosse i siti, e le testate stesse, perderebbero ulteriore importanza come destinazione e le piattaforme, sociali e non, diventerebbero i nuovi intermediari.

Questa è la strada suggerita da BuzzFeed, che dallo scorso Agosto ha una nuova divisione di venti persone, BuzzFeed Distributed, che si occupa solo di quello: creare contenuti per altre piattaforme. Non link verso il loro sito, ma contenuti nativi per Tumblr, Facebook, Snapchat, etc. È la stessa strada suggerita dagli Instant Articles di Facebook e dal nuovo Apple News [1. Se avete un blog/sito è già possibile registrarlo come un canale — anche in lingua diversa da quella inglese — e pubblicare al suo interno via RSS. Nonostante questo nelle FAQ Apple specifica che al momento i contenuti devono essere in lingua inglese. Per creare articoli simili a quelli mostrati durante il keynote — pieni di effetti, animazioni urticanti e altri arzigogoli inutili — invece bisognerà aspettare l’arrivo dell’Apple News Format.].

In merito, il Nieman Lab ha commentato l’arrivo di Apple News così:

It’s another sign that 2015 really is the Year of Distributed Content. It’s not just social platforms like Facebook and Snapchat that are interested in taking in your content — it’s the device platforms they themselves squat on. […]

The broader narrative is clear: Individual news apps and individual news brands aren’t the point of contact with news any more. They’re all feeding into broader platforms. The loss of power for publishers in that exchange is obvious; the potential benefits remain mostly undiscovered.

Come scrive Tim Carmody, le notizie sono diventate parte dell’OS, un’utility del sistema. Il futuro della stampa è sempre meno legato al web, al punto che secondo Matt Galligam potremmo parlare di un’era post-web delle news, spostandoci da un’esperienza pull-based (siamo noi ad andare a cercarci le notizie, da un browser) a un’esperienza push-based (le notizie ci vengono recapitate, senza dover andare a cercarle). Il browser perde importanza, così come il web, così come chi le notizie le produce:

Simply put, the future for most is distribution and aggregation paired with a native reading experience.

Apple News, Facebook Instant Articles, Snapchat Discover are all examples of this trend. No longer will we be loyal to any one news provider, but rather, we’ll be loyal to the places that deliver us news right within the products we love. It will be a tumultuous time and a rude awakening for anyone believing that they can shore up their traffic and keep people coming back to their properties alone.

Se le notizie abitano su Facebook, e ci vengono recapitate invece che essere noi a doverle andare a cercare, a chi interessa più da dove vengono? La provenienza, e la testata, di un contenuto saranno meno rilevanti — mentre gli algoritmi che ci consigliano, organizzano e smistano l’informazione compieranno sempre più scelte editoriali. Come sottolinea Baekdal, la perdita di importanza del brand delle testate avverrà a vantaggio delle piattaforme, in maniera simile a quanto successo con Spotify o Netflix. Nessuno dice “vado a vedermi un film della Universal Pictures“, quanto piuttosto “vado su Netflix“. A vincere sarà anche il singolo contenuto — un po’ quanto già avviene su Medium.

Se questo fosse il futuro ci sono molti problemi da risolvere. Il web garantiva uguaglianza, chiunque poteva inserirsi nel panorama informativo senza doverlo chiedere a nessuno, o aspettare un invito, mentre molte di queste alternative lanciano con partnership con testate selezionate. Internet è di tutti, queste piattaforme no. E mentre le grandi testate — Guardian, New York Times e simili — hanno accesso a questi nuovi “panorami informativi”, tutte le altre voci restano fuori. Un’alternativa al web deve — dovrebbe, si spera — offrire altrettanta apertura.

Il web offre anche un ottimo sistema per linkare l’informazione fra sé. Al contrario, molte delle soluzioni proposte dalle piattaforme sono chiuse, così che una notizia non esiste fuori dalla piattaforma, o non può essere vista se non si è dentro, con un certo OS o browser. Aspettarsi che una persona, per informarsi, debba installare una certa applicazione o adottare un certo sistema è ingiusto.

Ma forse il problema principale riguarda i contenuti stessi: Apple, Facebook, Google interferiranno mai, ponendo limiti? Saranno piattaforme editoriali — ovvero compiranno scelte editoriali — o lasceranno ogni decisione alla stampa? Apple da sempre controlla cosa può e non può finire nel suo App Store: non mi stupirei se decidesse che un certo tipo d’informazione non è adatto al suo Apple News, che una certa immagine non va bene o è troppo violenta (una cosa difficile da stabilire in questo campo, che può facilmente degenerare in censura — dato che ciò che è offensivo per noi può non esserlo per altri).

Non ho una conclusione, ma pare ovvio una cosa si sia capita: il passaggio dal web — un luogo aperto, in cui chiunque può inserirsi — alla piattaforma con canali tematici stile televisione non mi entusiasma.