I MOOC e il futuro delle università

MOOC è un acronimo piuttosto brutto che sta per Massive open online course, viene usato per indicare i corsi che vengono tenuti via web. Coursera e Udacity sono due siti descritti dall’acronimo: entrambi distribuiscono e raccolgono corsi di prestigiose università (Princeton, Stanford, MIT, …), gratuitamente attraverso la rete. Udacity, per dare un’idea, dice di avere più di 739,000 studenti. È nato nel 2011 dopo che Sebastian Thrun decise di mettere in rete il corso da lui tenuto a Stanford sull’intelligenza artificiale, raggiungendo un pubblico di 160,000 studenti provenienti da più di 190 diversi paesi. Il successo dell’esperimento lo portò a lasciare il suo lavoro a Stanford e fondare Udacity. L’idea generale, su cui si discute di questi tempi, è che l’istruzione si trovi in questo momento nella stessa situazione in cui si è trovata l’industria musicale quando è spuntato Napster: di fronte a un cambiamento radicale. Ne ha scritto Clay Shirky sul suo blog:

Once you see this pattern—a new story rearranging people’s sense of the possible, with the incumbents the last to know—you see it everywhere. First, the people running the old system don’t notice the change. When they do, they assume it’s minor. Then that it’s a niche. Then a fad. And by the time they understand that the world has actually changed, they’ve squandered most of the time they had to adapt. It’s been interesting watching this unfold in music, books, newspapers, TV, but nothing has ever been as interesting to me as watching it happen in my own backyard. Higher education is now being disrupted; our MP3 is the massive open online course (or MOOC), and our Napster is Udacity, the education startup. We have several advantages over the recording industry, of course. We are decentralized and mostly non-profit. We employ lots of smart people. We have previous examples to learn from, and our core competence is learning from the past. And armed with these advantages, we’re probably going to screw this up as badly as the music people did.

Ovviamente i dubbi riguardo i MOOC sono molti. Pare che solo il 10% degli iscritti abbia portato a termine i corsi, altri si domandano sulla validità di un certificato ottenuto via internet, ma soprattutto l’obiezione principale è come possa un computer sostituire l’esperienza di una lezione tenuta da un professore. In parte Udacity e Coursera snobbano queste domande, e vanno avanti imperterriti per la loro strada. Sembrano dire “ci penseremo in seguito, ad affrontare i problemi”, nel frattempo comunque le cose cambieranno lo stesso — ed infatti stanno cambiando. Però Shirky ha provato attraverso un’analogia con il mercato musicale a spiegare la differenza fra un corso in rete e una lecture, tenendo conto non solo dell’esperienza (più avvincente?) ma anche del costo del sistema universitario attuale, che continua ad aumentare e al cui problema i MOOC possono rappresentare una soluzione:

Starting with Edison’s wax cylinders, and continuing through to Pandora and the iPod, the biggest change in musical consumption has come not from production but playback. Hearing an excellent string quartet play live in an intimate venue has indeed become a very expensive proposition, as cost disease would suggest, but at the same time, the vast majority of music listened to on any given day is no longer recreated live.

C’è poi da sottolineare che l’obiezione pecca di benevolenza nei confronti delle lezioni tradizionali, ignorando che la maggior parte di queste non sono così entusiasmanti. Per rubare le parole a Shirky, a ogni critica che cominci con “prendiamo Hardvard come esempio” si dovrebbe rispondere “no, non facciamolo”, perché Harvard riguarda una microscopica percentuale degli studenti del pianeta. La maggior parte degli studenti studia in università che non eccellono per qualità, con corsi che non sono affatto l’esperienza insostituibile descritta dai critici dei MOOC. I MOOC non provano a rimpiazzare le università, sono la prima versione di qualcosa di nuovo, che avrà sempre più rilevanza. Nel frattempo, come successo per la musica prima, per i giornali poi, sono un’ottima cosa per l’intero settore dell’istruzione — forse non per le università intese come istituzione, ma per l’istruzione, senza alcun dubbio. Anche solamente perché obbligano le università a porsi delle domande, le costringono a cambiare riscoprendosi con un ruolo più attivo e meno passivo. Eric Mazur, professore di fisica a Harvard, ha di recente abbandonato il sistema delle lecture (che consistono essenzialmente nella trasmissione passiva di informazioni) facendo studiare agli studenti la lezione a casa, da soli, dedicando in tal modo il suo tempo in classe a discutere su quanto appreso, affidando a se stesso un ruolo che i MOOC non possono coprire:

Taking active learning seriously means revamping the entire teaching/learning enterprise—even turning it inside out or upside down. For example, active learning overthrows the “transfer of information” model of instruction, which casts the student as a dry sponge who passively absorbs facts and ideas from a teacher. This model has ruled higher education for 600 years, since the days of the medieval Schoolmen who, in their lectio mode, stood before a room reading a book aloud to the assembly—no questions permitted. The modern version is the lecture.

I MOOC probabilmente non sostituiranno le università (se non altro non quelle valide), scrive Shirky, e sì, al momento pongono svariate problematiche a cui devono ancora dare una risposta, ma la qualità della loro offerta (da alcuni criticata) migliorerà esponenzialmente col tempo e — sembra dire Shirky — evitiamo di demonizzarli perché faranno un gran bene al sistema dell’educazione:

That’s because the fight over MOOCs is really about the story we tell ourselves about higher education: what it is, who it’s for, how it’s delivered, who delivers it. The most widely told story about college focuses obsessively on elite schools and answers a crazy mix of questions: How will we teach complex thinking and skills? How will we turn adolescents into well-rounded members of the middle class? Who will certify that education is taking place? How will we instill reverence for Virgil? Who will subsidize the professor’s work? MOOCs simply ignore a lot of those questions. The possibility MOOCs hold out isn’t replacement; anything that could replace the traditional college experience would have to work like one, and the institutions best at working like a college are already colleges. The possibility MOOCs hold out is that the educational parts of education can be unbundled. MOOCs expand the audience for education to people ill-served or completely shut out from the current system, in the same way phonographs expanded the audience for symphonies to people who couldn’t get to a concert hall, and PCs expanded the users of computing power to people who didn’t work in big companies. Those earlier inventions systems started out markedly inferior to the high-cost alternative: records were scratchy, PCs were crashy. But first they got better, then they got better than that, and finally, they got so good, for so cheap, that they changed people’s sense of what was possible.