Il dilemma di Twitter

Twitter is two things. It is a concept — everyone in the world connected in real time — that’s so obvious in retrospect that it is impossible to imagine it not existing. It is also a product that has had a rough time living up to that concept. […] “For users that use Twitter and are able to set up an account and follow the right people it provides really disproportionate value. […] We have all of this great content, but today what…you actually see is a function of when you’re checking your phone, who you happen to follow, if you know the right hashtags, that sort of thing.”

Matthew Panzarino, Twitter’s Dilemma

Mantellini, sulla scelta di Twitter, Facebook e altri servizi di eliminare il video di James Foley dai loro server e sulle implicazioni che ciò comporta. In altre parole, facendolo hanno compiuto una scelta editoriale che è in contrasto al loro presentarsi come servizio per tutti e di tutti.

La domanda da farsi, è, quindi: di chi è internet? “Se Internet è di tutti,” scrive Mantellini, “è anche dei tagliagole vestiti in nero, i quali del resto, già da tempo, la utilizzano come se. E se invece Internet non è di tutti ma solo dei buoni, di quelli come noi, allora Internet non è più Internet ma uno dei nostri ben sperimentati orticelli recintati. Nei quali l’orrore (ma anche molto d’altro) può essere tenuto fuori, come se non esistesse.”

[Twitter e Youtube] Nate e cresciute fuori dal contesto editoriale e dentro la retorica delle relazioni fra pari, dopo averci alluvionato per anni con il racconto glorioso dell’informazione dal basso prodotta dai cittadini per i cittadini senza il fastidio di ingombranti intermediari, dopo averci raccontato con dovizia di noiosi particolari tecnici l’impossibilità di fermare o controllare il flusso di dati che ogni secondo raggiungeva i loro server, nel momento della diffusione del tragico video Twitter, Youtube e Facebook si sono trasformati in soggetti editoriali a tutto tondo. Impugnati i termini di servizio, scaldati i filtri tecnologici fino al giorno prima minimizzati, questi soggetti hanno iniziato a ripulire le proprie piattaforme dalle immagini dell’orrore giunte dal Medio Oriente. Per una ragione o per un’altra, per seguire la pietasminima dovuta ai familiari di quel giovane uomo straziato o per acconsentire ai pressanti consigli della Casa Bianca, le piattaforme di rete, utilizzate da tutti in tutto il mondo, hanno fatto una scelta di campo molto chiara e da servizio si sono trasformate in prodotto.

Non è importante ora chiedersi se quella scelta sia stata giusta o sbagliata, quello che va sottolineato è che se il New York Times decide di non mostrare quelle immagini terribili compie una scelta editoriale usuale, se Twitter chiude d’imperio profili che hanno semplicemente linkato quelle medesime immagini, compie una azione certamente editoriale ma con tratti censori incontestabili nei confronti dei propri utenti. E lo fa, tra l’altro, all’interno di una ciclopica eccezione, utilizzando per altre differenti ma ugualmente orribili immagini di guerra e dolore (per esempio quelle strazianti dei corpi dei bambini morti sotto i bombardamenti a Gaza), scelte editoriali del tutto opposte.

Douglas Bowman ha lasciato con un’appassionata lettera il suo lavoro di direttore creativo all’interno di Twitter:

As Biz says, Twitter is not a triumph of technology, it is a triumph of humanity. There is no other platform that offers what Twitter offers, and there is no other service that continuously reveals the collective pulse of our planet.