Andiamo sempre meno d’accordo
Interessante pezzo di Clay Shirky su Poynter, in cui l’autore sottolinea una conseguenza della vastità delle opinioni disponibili in rete (e di persone disposte a sostenerle):
Siamo meno disposti a concordare su cosa costituisce la verità, ma non perché siamo recentemente diventati testardi. Siamo sempre stati così. Solo non eravamo a conoscenza di quante altre persone erano così.
La relativizzazione dei fatti e la frammentazione delle opinioni[1. E il fatto che siamo convinti delle stesse, indipendentemente dalla loro validità. Una conseguenza della polarizzazione delle idee] fa sì che ci sia sempre qualcuno che non concorda su quanto affermato e ritenga che la sua opinione abbia diritto ad avere uguale spazio e diffusione di quella altrui, anche se non ha alcun collegamento con la realtà e non è supportata da fatti.
Per questa ragione, il fact-checking è probabilmente uno dei ruoli più importanti che i giornali possono coprire e uno dei modi in cui possono ritrovare autorità e importanza nel nuovo panorama mediatico. La soluzione non è dare uguale spazio a qualsiasi opinione, ma valutare la varietà di opinioni disponibili e selezionare quelle che hanno un senso scartando le restanti:
I giornalisti devono operare in un mondo dove nessuna dichiarazione, per quanto triviale, sarà completamente al sicuro da una smentita. […] Un mondo nel quale ipoteticamente tutte le affermazioni sono disponibili, rende il giornalismo del “lui ha detto, lei ha affermato” una forma di giornalismo sempre più irresponsabile, [da ritenere] sempre meno una via per instaurare un dibattito moderato e sempre più una strada per evadere la responsabilità di informare il pubblico. Cercare la verità consiste sempre meno nella ricerca del consenso, dato che ce ne è meno nel mondo, e sempre più riguarda smistare gli attori rilevanti da quelli irrilevanti. I giornalisti non possono più fare affidamento sugli esperti, come se ogni professore o ricercatore fosse in ugual modo affidabile.