Dopo l’articolo di martedì, ieri il New York Times è tornato di nuovo sul rapporto che Apple ha con la Cina pubblicando “Apple’s iPad and the Human Costs for Workers in China“:
Nella fabbrica di Chengdu sono impiegate circa 120.000 persone, con turni che coprono tutte le 24 ore del giorno. Sui muri, dice il New York Times, ci sono striscioni con slogan come “Lavora duro al tuo impiego oggi oppure lavora duro per trovartene un altro domani”. Apple ha un codice di condotta che fa sottoscrivere ai suoi fornitori, che dice tra le altre cose che gli operai non dovrebbero lavorare più di 60 ore la settimana. Questo limite però è infranto molto spesso e turni di 12 ore e sei giorni lavorativi su sette sembrano essere piuttosto frequenti. Il quotidiano statunitense dice che una buona paga per un operaio in possesso di un titolo di studio superiore è 22 dollari (meno di 17 euro) la settimana inclusi gli straordinari. (traduzione: Il Post)
Quanti di voi si sono spazientiti nello scoprire che bisognava attendere due settimane per ricevere l’iPad? Devo ammetterlo: anche a me, quando il tempo di attesa era due settimane, mi si è dipinta sul volto un’espressione insofferente. Quanti di voi hanno criticato la decisione di non rinnovare il design dell’iPhone 4S? Ecco, appunto. Questa situazione è dovuta per una buona parte ai consumatori, che vogliono ogni anno prodotti più veloci, potenti, nuovi, diversi.
Non sarà Apple a cambiarla, inutile crederci. Cambiarla significherebbe andare in bancarotta, perché di questa situazione non si avvantaggia solo Apple, ma ogni azienda; Apple e tutti i suoi concorrenti. L’articolo del NY Times non dice nulla che già non si sapeva, ma è bene che venga scritto, che venga ricordato alle persone che l’efficienza, velocità e il costante rinnovamento che chiedono ha dei costi, umani. Dice un dirigente anonimo di Apple:
“Puoi creare il tuo prodotto in maniera confortevole, in fabbriche accoglienti nei confronti dei lavoratori, o puoi reinventarlo una volta l’anno, farlo migliore, più veloce e più economico; il che richiede delle fabbriche che di fronte agli standard americani appaiono oppressive. E, ora come ora, ai clienti interessa più un nuovo iPhone che le condizioni di lavoro in Cina.”
Come scrive Facci, il NY Times non ha scoperto nulla di nuovo, ma ha ri-scoperto “tutto il campionario che da decenni in realtà riguarda tutta la produzione cinese per tutti i prodotti del mondo”. Se non siete ipocriti, ammetterete a voi stessi che queste cose le sapevate, che le avete sempre immaginate, seppur per stare meglio con voi stessi le avete ignorate. Il NY Times fa bene a ricordarle, a farcele riscoprire, a mettercele forzatamente davanti agli occhi.
Ma andiamo a vedere Amazon, HP, Dell, Samsung, Motorola, Nokia (etc.) e scopriremo comportamenti identici. Questo non significa che l’articolo focalizzato su Apple non sia giusto, significa se mai che non ci si può aspettare che un’azienda cambi mentre tutte le altre continuano ad avvalorarsi di questi sistemi di produzione.
Devono essere i governi a costringere le aziende, e le persone, a cambiare.