Una delle ragioni per cui facebook è una miniera di materiale scadente è che è troppo facile condividere. Sembra assurdo, per un social network, ma il fatto che un utente debba compiere uno sforzo pari a zero per la condivisione di un’informazione riduce la qualità dell’informazione stessa. Ad aver abbassato la qualità del sito sono state le varie applicazioni che promettono un aggiornamento automatico del proprio profilo. Queste applicazioni esistono altrove, anche su twitter, ma facebook le ha supportate e pubblicizzate più di qualunque altro sistema, integrandole al suo interno.
Vi faccio un esempio: se io metto mi piace ad un articolo su un sito, non significa che desideri condividerlo. Ciò nonostante facebook decide da solo di pubblicarlo sulla mia bacheca, propinandolo a tutti i miei amici. Ancora peggio, di recente facebook ha introdotto un’opzione che, se il giornale o il sito di turno l’ha attivata, segnala in automatico agli amici l’articolo che stiamo leggendo, senza che noi ce ne rendiamo conto, senza né un avviso né una nostra azione. La modalità di default è la condivisione. Il New York Times ha detto “no grazie”, ritenendo giustamente la feature inutile, ma facebook inizia a presentarla come qualcosa di inevitabile, un progresso tecnologico contro il quale è vano schierarsi.
Ma la condivisione automatica, senza una ragione e una motivazione dietro, ha reso lo strumento meno interessante e i suoi utenti sempre meno attenti e consapevoli nel scegliere cosa pubblicare: pubblicano, senza riflettere. L’utente ‘normale’ mette mi piace ad una decina di pagine inutili, posta in un solo giorno più di un video, spesso canzoni, e diverse immagini. Il tutto senza un minimo di autocensura, senza chiedersi nemmeno un istante ‘ma è davvero interessante, quello che sto per condividere?’.
L’attività editoriale comporta che:
- Una persona sia in grado di decidere fra tante cose a quale dare valore e a quale dar risalto
- Prevede che certe cose vengano eliminate. Ci sono 50 canzoni che ti piacciono? Ne pubblichi una, non tutte e cinquanta. Grazie.
Su facebook nessuno la attua: nessuno sceglie di escludere certa informazione, anche se superflua, ridondante ed eccessiva, e nessuno si chiede se valga davvero la pena condividere quella determinata cosa. Ed è informazione – intesa come qualcosa che possa interessare qualcuno, anche solo informare gli amici su un proprio gusto o un pensiero – questa? Certamente no, come ha provato a spiegare Mike Loukides, su O’Relly:
La condivisione a sforzo zero di facebook non migliora la condivisione, la rende senza senso. Torniamo alla musica: è interessante se dico a te che mi piace tantissimo la musica di Olivier Messiaen. È altrettanto significativo se ti dico che a volte mi rilasso ascoltando i Pink Floyd. Ma se questo tipo di informazione è sostituita da un flusso costante di quello che si sta ascoltando, diventa priva di significato. Non c’è più una condivisione.
Prendiamo un utente, un utente medio, che mette tanti mi piace a pagine a caso, perché crede sia divertente mettere mi piace a pagine a caso, pubblica tanti video musicali dello stesso gruppo, perché crede che sia doveroso ricordarmi ogni giorno che lui ascolta quel gruppo, pubblica una ventina di immagini divertenti, che smettono di esserlo a questo punto, e scrive dove si trova in ogni istante.
Avete il coraggio di affermare che queste azioni hanno una portata informativa? Io no, l’unica informazione che ci possono dare è la scarsa intelligenza di chi le attua. Chiamarla informazione non ha più senso: si chiama spam. Mi stai dando fastidio, e tanto anche. Perché non mi rispetti e non rispetti il mio tempo: credi che sia giusto pubblicare cinquanta cose scadenti al giorno.
Il problema della superficialità e mediocrità dell’informazione su facebook è dunque dovuto al 50% al sistema, che ha reso la condivisione non tanto immediata e semplice, quanto piuttosto automatica, e per l’altro 50% agli utenti e alla cerchia di amici che ti sei costruito. Se sei circondato da un mare di informazioni irrilevante, è perché i tuoi amici la creano. Non si autogenera.
Per citare Clay Johnson: non dare la colpa all’informazione, dalla a te stesso. Nessuno entrando in una pasticceria grida “aiuto! ho un problema di food overload!”. Lo stesso vale per l’informazione, e per l’information overload: se ne consumi troppa, se hai sei reso il consumo caotico e senza senso, se quella che assumi è priva di interesse, la colpa è di come ti sei scelto le tue fonti. Ma siccome su facebook le tue fonti sono i tuoi amici — e forse proprio qua sta il problema e l’errore di fondo, che i nostri amici spesso e volentieri non sono una fonte d’informazione valida — non puoi risolvere il problema eliminandoli. E anche eliminare te stesso dal sito, non è una soluzione.
Piuttosto, vi ricordate l’amico che cliccava il tasto forward ad ogni mail contenente una catena, un video divertente, un’immagine strana o un appello e storia inventata? Simpatico, i primi giorni, poi tutti abbiamo finito col detestarlo. E l’amico a un certo punto ha smesso[1. Oppure, se recidivo, è finito dimenticato nello spam, con buona pace all’anima sua], capendo che l’uso dell’email è un altro, che la ricezione perpetua di materiale inutile non è apprezzata e, soprattutto, che inviare cinque mail al giorno alla stessa persona non aiuta nei rapporti. Eppure, cinque è un numero basso se paragonato agli aggiornamenti che oggi un utente medio pubblica quotidianamente, su facebook, dove questo tacito accordo ancora non esiste, dove si è legittimati a segnalare molteplici video al giorno, senza finire nello spam e rendere insofferenti gli amici.
Facebook dovrebbe smetterla di spingere verso il frictionless sharing, che non è inevitabile e nemmeno utile. I suoi utenti dovrebbero imparare a rispettarsi a vicenda, porsi il perché di quell’informazione che stanno per condividere e darsi dei limiti. Ma questo è proprio quello che Mark Zuckerberg non vuole: che la gente condivida coscientemente. E questo è proprio il frictionless sharing: una condivisione automatica, senza pensarci sopra, senza fatica.
Quasi inconsapevole.